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Aveva un cuore immenso
Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Caprera, 2 giugno 1882) è un personaggio storico talmente famoso che sembrerebbe superfluo leggere una sua biografia. A scuola se ne parla diffusamente e viene sempre presentato come il più grande patriota italiano, come colui che risultò determinante, nell’ambito del nostro Risorgimento, per giungere all’unità nazionale. Ci viene sempre descritto come l’eroe dei due mondi, per le imprese compiute nell’America meridionale, si esaltano le sue qualità di condottiero, lo si presenta come un uomo in camicia rossa che monta un cavallo bianco e che incita gli italiani alla riscossa. Si accenna appena alla sua onestà e frugalità, quando si dice che dopo l’impresa dei mille, con la consegna al re Vittorio Emanuele II del Regno delle Due Sicilie non volle onori e prebende, ma che si ritirò nel suo eremo di Caprera accontentandosi solo di un po’ di sementi da piantare in quella terra arida e sassosa. È inutile che aggiunga altro, poiché sto parlando di un mito, di un individuo le cui gesta ancor oggi destano meraviglia e fanno pensare a un che di unico e di irripetibile. Ci si chiede, pertanto e comunque, se non si tratti di una leggenda, di un’esaltazione collettiva e chi era veramente Giuseppe Garibaldi. Denis Mack Smith ci fornisce la risposta con questo libro, scritto con l’esperienza e la capacità che gli sono note, ma anche con il cuore, perché l’autore inglese, al pari dei suoi connazionali, ha per il nostro Giuseppe un’autentica venerazione, il che non gli impedisce di scremare il mito per arrivare a un ritratto veritiero, da cui risulta un uomo semplice e umile, dotato di una grande forza di volontà e di un cuore immenso. In questo modo Garibaldi risulta addirittura superiore al suo mito e pagina dopo pagina viene suscitata nel lettore un’autentica commozione. Ed è proprio nello sfatare certe esagerazioni che nel tempo sono maturate sul personaggio, nello scoprire la sua vera e autentica natura che questo rifulge come il sole in un limpido cielo primaverile. Come condottiero fu un eccellente tattico, con diverse vittorie, ma anche alcune sconfitte, e un pessimo stratega, ma ciò non toglie che le uniche vittorie italiane nella seconda e nella terza guerra di indipendenza sono esclusivamente merito suo. Il riunire gli italiani in un unico stato fu da lui considerata una missione, nell’ambito di una visione generale che tendeva ad aiutare gli oppressi nel ribellarsi al giogo straniero, sia che questo fosse quello austriaco, sia che fosse quello argentino. E per quanto sia possibile credere che fosse un guerrafondaio, più di altri sognava un mondo di pace, in cui non esistessero più servi e padroni, senza con ciò desiderare l’eliminazione di chi godeva di tante ricchezze, ma elevando il livello economico delle masse, che alla sua epoca spesso e volentieri facevano la fame. Arrivò, per primo, a ipotizzare un consesso di stati il cui scopo fosse quello di dirimere le controversi che insorgessero fra gli aderenti, anticipando coso l’istituto dell’ONU, e intuì che all’Europa, per ritrovare un suo ruolo ben specifico e ovviare al calo della sua influenza a beneficio degli Stati Uniti d’America, era necessaria un’ unione dei suoi stati. La sua spontaneità si accompagnava a un’innata ingenuità, di cui più volte fece le spese, soprattutto nelle macchinazioni che gli ordirono i politici (in primis Cavour) e lo stesso Vittorio Emanuele II, che avrebbe dovuto trattare molto meglio chi gli aveva così tanto ampliato il regno, ma c’era poco da aspettarsi da un re meschino, falso e vile. In un’Italia sabauda, dove esplose la disgrazia della corruzione, ne fu totalmente immune, anzi cercò ripetutamente di sensibilizzare il parlamento perché desse l’aiuto indispensabile alla quasi totalità degli italiani, che vivevano in condizioni miserabili ed erano costretti ad emigrare per sopravvivere. L’Italia che aveva così tanto contribuito a creare non rispondeva certo alla sua visione di un popolo felice e sempre ebbe nel cuore le sorti di chi, ed erano tanti, la stragrande maggioranza, viveva nella più completa indigenza, sfruttata per un pezzo di pane che non era mai sufficiente a saziare; sempre a loro andò il suo pensiero nella vecchiaia, afflitto da una dolorosa artrosi che ben presto gli impedì di camminare- Fu certamente lo sceneggiatore, attore e regista del nostro Risorgimento, un insieme di ruoli che seppe interpretare con assoluta dedizione.
Si spense come aveva vissuto, povero ma da uomo dignitoso e consapevole che aveva dato tutto se stesso, senza pretendere e senza avere avuto nulla in cambio. Chiese di essere cremato su una pira, ma il re e i politici gli fecero un ultimo tiro, con solenni funerali di stato, un affronto anche da morto a colui che era sempre vissuto in grandiosa umiltà.
Da leggere e rileggere, perché scoprire l’autentica grandezza di un mito non vuol dire demolirlo, ma rendersi conto come la realtà possa essere ben superiore al mito stesso.
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Le tue recensiomi sono sempre nolto interessanti. Smith è sicuramente uno storico di grande valore e grande equilibrio nell'affrontare personaggi visti spesso 'a senso unico'.