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Madre
Irina Lucidi, dal gennaio 2011, è mancante del contatto con le sue figlie gemelle di sei anni, Alessia e Livia. In italiano si dice vedova, si dice orfana, ma non c’è parola che definisca una persona dopo la perdita di un figlio. Le bimbe scompaiono nel nulla, dopo essersi allontanate con il padre, Matthias Schepp, suicida dopo cinque giorni, nella stazione ferroviaria di Cerignola.
Irina sceglie Concita di Gregorio come medium di ascolto, e la giornalista accetta di diventare strumento, compagna, voce della vicenda. Le lettere, le riflessioni in corsivo dell’autrice, gli elenchi, i ricordi, sono le formule adeguate per creare narrativa da un caso di cronaca. Il romanzo, così, diviene pretesto per un’occasione di accoglienza e di alleanza fra Irina e Concita.
La vergogna e la difficoltà a comparire in socialità rappresentano la sintomatologia del dolore. L’impotenza contamina pensieri e sentimenti. Irina, e ciascuna/a di noi con lei, non dimentica, non si assolve, non esce dal dolore. Offre una testimonianza attraverso il racconto di sé e lo scambio di pensieri con la giornalista. La mancanza è una grande prova di vita.
Non casco nella ricerca della facile morale della favola: capire come una donna, dopo una tragedia, possa rifarsi una vita e un amore! Non nell’indagine è il senso, non nella scoperta, non nell’assoluzione e nella rinascita, ma, unicamente, nella relazione, nel processo del racconto che non salva, ma, dicendo, incontra il volto, riconosce il prossimo, rimette al mondo.
Confermo che la mancanza di protezione verso di sé, non origina mai forme d’amore per gli altri. Rifletto su come l’ostinazione a dire e a inseguire l’essere amato ha, come confine ultimo, solo la morte.
Sono convinta che la ripetitività e l’inconsapevolezza sono già segnali di un tempo immobile, rispetto alla diversità continua dei tempi del benessere. No, non si può prevedere, il gesto folle. Vigilare, sì, dobbiamo. E, soprattutto, valutare l’intuizione come una buona guida.
Al prezioso oggetto rotto, riparato in Giappone con oro liquido, affianco il ricordo dei grandi piatti di terraglia color crema a fiorellini blu, ereditati dai miei avi bitontini, ricuciti con fili di ferro. Senza alcuna nobiltà, non conservano nessuna apparenza di rielaborazione, né di trascendenza. Ormai crepati, possono contenere acqua e terra, liquidità e solidità. Non possono più essere esposti al contatto con il fuoco.
“Todo cuadra. Questa formula, tutto è al suo posto. Ma non si può tanto tradurre. Tutto è proprio come deve essere. Non c’è da ostinarsi a spostare i pezzi. Bisogna solo osservarli muovere, vedere dove vanno. Questo siamo: spettatori attivi nel teatro dell’universo. È uno spettacolo, realmente, la vita. Todo cuadra.”p.79
“Mi ha logorata nell’attesa, perché sa, giudice, l’attesa delle persone amate non è una pausa: è un lavoro incessante, una fatica mostruosa, una lotta contro i peggiori dei pensieri. È uno spazio che si riempie di mostri e ti sorprende alle spalle. Gli anni passano, i minuti, no.”p.63
“C’è bisogno di essere felici, nonna, per tenere testa a questo dolore inconcepibile. C’è bisogno di paura per avere coraggio. È l’assenza la vera misura della presenza. Il calibro del suo valore e del suo potere.”p.14
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