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Affari di famiglia
Rodrigo, Cesare e Lucrezia Borgia sono nomi che evocano un passato fatto di sfrenata lussuria, di intrighi, di ferocia e di veleni. Infatti i loro contemporanei ci hanno sempre fornito questo ritratto, li hanno sempre presentati come la malvagità al massimo livello, non esseri umani quindi, bensì mostri da esecrare in eterno. L’unanimità dei giudizi, fatta qualche rara e sporadica eccezione, sembrerebbe dimostrare che il quadro fornito possa rispondere a verità, ma sorge più di un dubbio, soprattutto ove si consideri che gli altri potenti rinascimentali non erano certo degli stinchi di santo. E allora perché così tanta acredine, perché un odio così radicato? È probabile che sia stata la reazione per lo scampato pericolo delle signorie che regnavano su un’Italia spartita in tanti staterelli e che fece gola a Rodrigo Borgia, allorché era pontefice con il nome di Alessandro VI, al fine di dare agli eredi possedimenti e relativa sovranità trasmissibili di padre in figlio. Certo, il Papa era un monarca assoluto, che governava su ben due regni: lo stato delle anime e quello pontificio. Però il suo potere derivava da un elezione e non poteva essere trasmesso; di conseguenza, l’unico modo per assurgere agli onori di un casato era solo quello di impossessarsi delle terre altrui, su cui dominare. E se ne ebbero timore piccole signorie come i Gonzaga a Mantova e gli Este a Ferrara, quasi altrettanta paura la provarono gli Sforza a Milano, i Patrizi della Serenissima a Venezia e i notabili di Firenze..
Scrivere quindi dei Borgia, riportare la loro storia non è un lavoro facile, fra tante fonti preconcette e necessita di procedere con la massima razionalità ed è ciò che ha fatto Roberto Gervaso con I Borgia. Prima di tutto ha voluto rappresentare com’era il panorama italiano, delineando in modo rapido, ma esauriente quali erano le famiglie dominanti all’epoca, e con criteri più approfonditi la situazione a Roma, capitale dello stato pontificio. Le notizie costituiscono quasi un’indispensabile premessa, perché altrimenti non sarebbe possibile comprendere il contesto in cui Rodrigo Borgia, prima vicecancelliere sotto ben cinque papi e poi pontefice lui stesso con il nome di Alessandro VI, ebbe a operare. Né meno importante è la parte riservata ai suoi predecessori, nepotisti, avidi e lussuriosi. L’ascesa di Rodrigo, i suoi primi passi come sovrano assoluto, procedono congiuntamente con le vicende dei figli, di cui i più celebri furono senza ombra di dubbio Cesare, detto il Valentino, e Lucrezia.
Gervaso, nel caso di avvenimenti più importanti, non tralascia peraltro di citare l’opinione di loro contemporanei, esprimendo pure la sua secondo un criterio improntato esclusivamente al raziocinio. Ed è qui che si apprezza la valenza dello storico, capace di raccontare i fatti e di accogliere, di più o di meno, le versioni che altri diedero, senza mai affermare nulla, ma cercando solo l’unica spiegazione possibile. Lo stile è indubbiamente fluente, mai greve, spesso venato da una salutare ironia che talvolta trascende a una moderata comicità, come nel caso della descrizione dell’aspetto del re di Francia Carlo VIII, che mi ha strappato più di un sorriso. Inoltre è consapevole che dal suo modo di procedere potrebbe essere scambiato per un difensore dei Borgia, il che non è vero, e allora il suo tono, soprattutto quando si tratta di darne un giudizio, si fa più distaccato e si accentuano invece i pareri che a suo tempo diedero ii contemporanei. Non manca tuttavia del senso di pietà, come quando descrive la morte di Alessandro VI, per malaria, la mancanza di rispetto per le sue spoglie da parte dei camerieri personali, oppure la fine ardimentosa di Cesare, caduto in un’imboscata in Spagna e crivellato da colpi di lancia. Si sbilancia solo per Lucrezia, una figura vittima della ragion di stato, dolce, mite, ubbidiente, non certo l’avvelenatrice come viene ingiustamente ricordata; se a Roma con il padre e il fratello forse aveva condotto una vita al limite della decenza, a Ferrara, diventata sposa di Alfonso d’Este, si era ampiamente riscattata, tanto che morì quasi in odore di santità.
Che giudizio pertanto si può dare di Rodrigo e Cesare Borgia? Il primo era la mente, il secondo il braccio, pur non essendo certo stupido. Sognarono e quasi riuscirono a concretizzare l’impossibile; il primo certamente non è stato un esempio del buon cristiano, quale dovrebbe essere un papa, ma rese alla Chiesa un grande servigio, rendendola più forte e con confini dello stato più stabili; pessimo papa, potremmo dire, ma di certo Rodrigo fu un grande statista e riguardo ai metodi utilizzati erano quelli all’epoca in voga in ogni signoria. Cesare era diabolico, capace di tessere inganni intricati, ma fu anche un grande condottiero e un buon amministratore dei territori conquistati; vendicativo, non andava tanto per il sottile, ma in un’epoca in cui scannarsi pareva essere il passatempo preferito, lui di certo non era quel mostro che la storia descrive. Entrambi erano, né più né meno, uomini del loro tempo, entrambi sognarono di fondare un regno ed entrambi fallirono, più per sfortuna che per incapacità. Quel che è certo è che se avessero vinto, la loro memoria sarebbe ben diversa, perchè, come si sa, la storia è scritta sempre dal vincitore.
I Borgia è un libro bellissimo, che si legge con la stessa passione e attrazione di un thriller avvincente, ma qui non c’è finzione, c’è solo la descrizione di quanto accaduto in uno scorcio del Rinascimento.
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