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Il primo re d’Italia
Vittorio Emanuele II (Torino, 14 marzo 1820 – Roma, 9 Gennaio 1878) è stato l’ultimo re di Sardegna e il primo re d’Italia. Fu sotto il suo regno, infatti, che furono combattute la seconda e la terza guerra di indipendenza, che avvenne la spedizione dei mille, che si ebbe la presa di Roma. Quindi è il protagonista principale di quel periodo storico che ha preso il nome di Risorgimento, nel corso del quale si pervenne all’unità d’Italia e proprio per questo motivo a scuola lo si studia come il fondatore della patria e si tende a presentarlo come un galantuomo, indomito, ardito, un vero e proprio condottiero. Per principio non mi fido molto degli appellativi, perché per quanto riguarda casa Savoia troviamo Umberto I, il re buono, talmente buono da far massacrare per mezzo delle truppe del generale Bava Beccaris uomini, donne e bambini che manifestavano pacificamente, Vittorio Emanuele III, il re guerriero, del cui ardimento dette prova l’8 settembre 1943 fuggendo come una lepre e lasciando gli italiani in balia della ritorsione dei tedeschi. Certo che per definire galantuomo un individuo ci devono essere delle specchiate prove che si è sempre comportato onestamente, ma nel caso di Vittorio Emanuele II non se ne trovano, così come non si trovano elementi che dimostrino la sua disonestà, benché voci popolari gliela attribuissero, e magari erano le stesse voci che dicevano che non era il primogenito di Carlo Alberto, ma di un macellaio fiorentino, fatto passare per un Savoia erede al trono in quanto quello legittimo era perito in un incendio. Di questa diceria c’è traccia (poche righe in verità) in questo bel libro di Denis Mack Smith, che sappiamo storico attento e imparziale. A onor del vero, per quanto abbia cercato di far piena luce sul primo re d’Italia, lo studioso inglese lamenta che le sue fonti sono sovente lacunose, altre volte precostituite e che soprattutto non ha potuto accedere, come tanti altri, all’archivio riservato di Casa Savoia, di cui sono ora in possesso Emanuele Filiberto e il padre. Ma c’è un’ulteriore stranezza: non è mai stato possibile, anche in passato, visionare la corrispondenza fra Vittorio Emanuele II e Cavour, il che fa sorgere il dubbio che tanta ostilità possa derivare dal tentativo di evitare di incrinare il mito di un uomo che è stato il padre della patria. A scuola ormai si è sempre studiata la figura di questo re, in verità amato dai suoi sudditi, secondo un tracciato impostato più di un secolo fa e che offre dell’uomo una visione simpatica, paternalistica, come si attende la gente che deve vedere in lui il primo degli italiani in tutto. A studiare era una schiappa, perché ne aveva ben poca voglia e scarsa intelligenza, da adulto era un tipo grossolano, amante della buona cucina e delle donne, di qualsiasi condizione sociale fossero. Benché cercasse di comportarsi da monarca assoluto, per la scarsa abilità politica doveva accettare le decisioni dei suoi presidenti del consiglio, fra i quali il più noto era Cavour, un camaleonte opportunista che nelle sue trame spesso scavalcava il sovrano. Come militare non mancava di coraggio, ma difettava, e non poco, di strategia e di tattica; inoltre, problema costante nella storia del nostro paese, era incapace di preparare il paese alla guerra ed è proprio il caso di dire che se non ci fosse stato il determinante aiuto dei francesi nella seconda guerra di indipendenza e l’alleanza con la Prussia nella terza molto probabilmente non si sarebbe mai raggiunta l’unità d’Italia. Insomma, quest’uomo chi era effettivamente? Credo che la miglior risposta sia contenuta nel libro; infatti, Denis Mack Smith scrive: “In vita, Vittorio Emanuele II fu molto rispettato e abbastanza popolare. Veniva onorato come il re che nel 1849 aveva rifiutato di rinnegare lo statuto, come l’uomo che nel 1859-61 aveva presieduto all’unificazione italiana e, dopo il 1861, come il padre e il simbolo della nazione unita.” Per quanto concerne la difesa dello statuto albertino, però, vi é da dire che avendone l’impero austro-ungarico uno ancor più liberale, non pretese che quello concesso dal Regno di Sardegna nel 1848 venisse rinnegato e quindi fu gioco facile mantenerlo in essere. Poi sempre Smith fa notare come fu successivamente alla sua morte che il sovrano divenne un mito, con dei panegirici scritti su di lui con cui gli fu riservato un posto, ben poco giustificato, fra i più grandi monarchi di tutti i tempi e di tutti i paesi. Nella realtà, pur con le limitazioni di conoscenza di cui ho accennato e che potrebbe incrinare irreparabilmente questo mito, Vittorio Emanuele II, che non si pose mai il problema dell’unità nazionale, ma solo l’obiettivo di ingrandire il suo piccolo regno, era considerato dai sovrani dell’epoca e dai loro ministri un uomo magari simpatico, ma di scarso spessore, ben poco istruito, portato a commettere gaffes madornali e, soprattutto, infido. Mi chiedo cosa salterebbe fuori se fosse possibile leggere la corrispondenza di Vittorio Emanuele II e quali segreti siano così importanti da richiedere una secretazione della stessa.. Forse un giorno sapremo e magari sarà poi necessario riscrivere la nostra storia, ma nel frattempo i secoli cancelleranno la memoria e forse ben pochi saranno in grado di dire cosa abbia rappresentato quel re per l’unità d’Italia. Intanto accontentiamoci di questo studio di Denis Mack Smith, che unisce alla solita imparzialità anche una scorrevolezza che stimola a leggere di come poté accadere che grazie a un piccolo regno e al suo re un’intera nazionalità si trovò finalmente unita nel suo paese.
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Bel commento. Penso di aver letto il libro tempo fa. L'autore è un grande. Con personaggi come il protagonista, che dire? Povera Italia !