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I francesi in altopiano
Dopo il buon riscontro ottenuto dalla puntata precedente sui britannici, il dinamico duo Vollman-Brazzale passa ad analizzare il contributo dei cugini d’Oltralpe sul fronte italiano e in special modo sull’Altopiano di Asiago superando i difetti del primo volume (a parte la mancanza di una cartina per i non autoctoni e qualche sigla militare di troppo senza glossario), ma dovendo al contempo affrontare una quantità di materiale neppure paragonabile a quella che è stata possibile recuperare per gli allora sudditi di re Giorgio V. La mancanza di una diffusa memorialistica ha costretto gli autori a basarsi sul diario di alcuni ufficiali e, soprattutto, sul libro di Louis Lefebvre costruito attorno alla figura di un generico Poulot (il termine francese che indica il soldato generico) in cui l'autore ha riversato i propri ricordi di umile fante. Quale che sia la fonte, dal punto di vista del combattente la morale è sempre la stessa: benché nessuno si rifiuti di fare il proprio dovere, la guerra resta un inutile, infinito massacro in cui a soccombere sono sempre gli stessi. I morti ammazzati si contano ancora una volta a centinaia e i momenti di retrovia o comunque di relativa calma servono per tirare il fiato: come nel libro precdente, c’è dapprima il sollievo dei soldati per venire tolti dal fango del fronte occidentale e poi la curiosità e lo stupore per un Paese del tutto nuovo - molti di loro erano contadini che mai avevano abbandonato il proprio paesello. La mancanza di testimonianze dirette fa parere i francesi più prevenuti nei confronti degli italiani (come da tradizione, verrebbe da dire) sia per quanto riguarda i costumi sia per quanto riguarda l’alimentazione – il che permette però di scoprire che il rancio delle nostre truppe era veramente pessimo al confronto di quello transalpino: l’impressione è così che si fraternizzasse di meno, ma una certa familiarità fra i fanti e la popolazione pure ci fu, viste le preoccupazioni del parroco di Salcedo sul comportamento delle ragazze del paese… Quello del religioso è uno dei molti tasselli assemblati dagli autori per ovviare al problema descritto sopra: così, dopo Poulot e un’attenta ricostruzione di numerose fra le belle gesta compiute dai francesi in combattimento sia sull’Altopiano, sia nella controffensiva del Piave, si susseguono una serie di capitoli che riguardano aspetti diversi della presenza transalpina, alcuni affidati a collaboratori esterni, come quello sull’aviazione a cura di Luigino Caliaro Il segmento che colpisce di più, specie in questi tempi di immigrazione e di confronto fra culture, è lo spazio dedicato alle truppe coloniali, ovvero i magrebini e gli africani che combatterono come soldati della Terza Repubblica e ci appaiono ritratti in fotografia nei luoghi in cui, al giorno d’oggi, qualche loro nipote è guardato con sospetto. L’apparato iconografico è, del resto, uno dei punti di forza dell’opera grazie a una serie di immagini - forse ancor più numerose e incisive rispetto al primo lavoro - che consentono al lettore di immedesimarsi ancor di più con la tragedia di cui sta leggendo: tragedia sì perché, malgrado qualche momento in cui sorridere, di questo si tratta e, se non bastassero a ricordarlo i numeri di morti e feriti dopo ogni scontro a fuoco oppure il silenzio dei cimiteri sotto la neve, ecco le desolate parole di Charles Pèguy, caduto al fronte, che chiudono come meglio non si potrebbe il volume.