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L’uomo della (im)provvidenza
È fuor di dubbio che l’assoluto protagonista del famoso ventennio, e cioè Benito Mussolini, sia personaggio meritevole di attenti studi e di ricerche storiche, se non altro per il fatto che nella nostra ancora giovane Italia mai c’era stato (e la speranza è che non ne vengano altri) un personaggio dalle così marcate caratteristiche da costituire quasi un unicum, nel bene e soprattutto nel male. Così di pubblicazioni su di lui e sul fascismo ce ne sono a bizzeffe, tanto che è il caso ormai di dire che si è arrivati a conoscere pressoché quasi tutto. Questo saggio del noto storico Denis Mack Smith si limita, e si fa per dire, alle guerre intraprese da Mussolini, che per natura, egocentrico come era, fu un guerrafondaio, pur di tanto in tanto atteggiandosi a pacifista. Nel dire che Mussolini fu il fascismo e il fascismo fu Mussolini si delinea apertamente la caratura e le vesti di quest’uomo, alla continua ricerca di un appagamento personale che non riusciva mai a raggiungere. Di certo non aveva le idee chiare: prima socialista e anti interventista, di colpo sostenne l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 e poi fu lesto a cavalcare il malcontento popolare della cosiddetta vittoria mutilata e della effervescenza prerivoluzionaria del dopoguerra per impadronirsi del potere e diventare, di fatto, dal 1925 il padrone assoluto del paese. Occorre riconoscergli una grande capacità, derivante dall’esperienza quale direttore del quotidiano socialista L’Avanti, vale a dire l’abilità, non comune, di fare propaganda, facendo passare per vere notizie false e per false quelle vere. Non è che l’Italia, grazie alla sua presenza al governo, avesse migliorato la sua condizione economica e sociale, ma, in forza della dittatura e delle sue invenzioni, vere e proprie menzogne, se il popolo non aveva di che rallegrarsi del modesto reddito e della diffusa disoccupazione, però poteva almeno sperare in un miglioramento della situazione. Veniva detto che l’Italia era un paese egemone, ben organizzato, con i treni puntuali, la gente fiera e orgogliosa di discendere dagli antichi romani, tutte menzogne che avevano un certo successo in una plebe indottrinata già a scuola e in un mondo di fatto chiuso all’esterno. Un altro millantato punto di forza era l’onestà dei gerarchi fascisti, ma non rispondeva a verità, poiché questi erano dei macroscopici corrotti e Mussolini lasciava fare, ma tramite la polizia segreta si documentava sulle malefatte onde renderli ricattabili. Come è possibile comprendere al fascismo e al suo capo nulla importava degli italiani, se non la loro sottomissione ottenuta con un’abile propaganda. Mussolini diventò così un mito, alimentato da lui stesso, con promesse roboanti, puntualmente disattese, tanto che è possibile dire che, al contrario di quanto proclamato, non era il fascismo al servizio degli italiani, bensì erano questi che con il tacito consenso potevano mantenere in vita questo grottesco teatrino. A forza di raccontar menzogne, purtroppo, il duce finì con ritenerle verità e qui iniziò una parabola discendente - che ci sarebbe stata in ogni caso, perché la situazione economica, già non soddisfacente, andava peggiorando - che condusse il dittatore a un delirio di onnipotenza tale da fargli credere che sarebbero state sufficienti solo le sue minacce di espansione per ottenere nuovi territori. In ciò si sentì confortato dai successi della guerra d’Etiopia, di quella di Spagna e di quella d’Albania, vittorie osannate come gigantesche e che invece si ottennero per il rotto della cuffia ed evidenziarono la grave impreparazione militare del nostro esercito, carente di mezzi e di uomini addestrati. Per avere ragione degli Etiopici si dovette ricorrere ai bombardamenti aerei indiscriminati e all’uso dei gas asfissianti, metodi entrambi caldeggiati da Mussolini, con un comportamento criminale che fu sempre una sua caratteristica; nel caso della guerra civile spagnola, i volontari fascisti (camicie nere e migliaia di disoccupati arruolatisi per sfuggire alla fame) furono clamorosamente battuti da un esercito irregolare a Guadalajara, il che convinse Mussolini a impegnarsi ulteriormente con uomini e armi, dissanguando di fatto le riserve valutarie nazionali; per l’Albania ci fu un’invasione da operetta senza spargimento di sangue, giacchè gli albanesi non avevano un esercito. Secondo lo stile propagandistico fascista queste furono considerate vittorie superiori a quelle conseguite dai più grandi generali della storia e il merito era da attribuirsi solo e unicamente al Duce. Il bello è che Mussolini credette davvero di essere un condottiero, tanto che, oltre ad accentrare presso di sé il ministero degli esteri, si prese anche quello della Guerra e quello dell’Aeronautica. In questi campi basilari era niente di più di un dilettante e quel che è peggio, a parte la politica estera fatta di un tira e molla che lo screditò non solo di fronte agli inglesi e francesi, ma anche ai tedeschi, ben consapevole delle difficoltà delle nostre Armi non fece nulla per avviare una razionale politica produttiva di ordine bellico, pur vantando di continuo l’inizio di una grande guerra, con cui il nostro paese avrebbe avuto il dominio assoluto del Mediterraneo e l’espansione verso est nei Balcani. Si potrebbe dire che giocava d’azzardo, ma, purtroppo, non aveva l’asso nella manica, anzi aveva l’Asse, il trattato di reciproco aiuto con la Germania nazista che arrivò a sottoscrivere senza leggerlo con dovuta attenzione e solo in seguito si accorse delle clausole capestro che conteneva. In continua altalena fra scendere in campo con i tedeschi, o restare neutrale, oppure addirittura affiancarsi agli inglesi e francesi, ma desideroso di nuovo bottino da spartire al tavolo della pace grazie a qualche migliaio di morti, finì per credere nella guerra e nella vittoria lampo del Reich, attaccando la Francia che aveva già chiesto l’armistizio (un comportamento da autentico vigliacco) e buon per lui che l’atto di cessazione delle ostilità fu firmato alla svelta, perché altrimenti il nostro esercito avrebbe subito una catastrofica batosta sulle Alpi. Non pago di questo, pensò bene di attaccare la Grecia, che aveva un modestissimo esercito; dovettero intervenire i tedeschi per scongiurare la disfatta, così come le truppe del Reich accorsero alla svelta in Libia dove solo 30.000 soldati inglesi travolsero la nostra armata che contava effettivi cinque volte superiori. In un crescendo wagneriano impegnò truppe in Russia, con gli esiti che sappiamo, e nei Balcani dove si operò un’attività di polizia (e di pulizia etnica) con gravi atrocità (al riguardo, la mortalità nei campi di concentramento italiani era in linea con quelli nazisti di Dachau e Bergen-Belsen). Poi fu tutto un precipitare, con la fine che si meritava, del resto secondo una frase che aveva coniato e di cui andava fiero: se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi. A conti fatti di lui si può ricordare – ammesso di considerarla una caratteristica positiva – l’abilità nel creare il suo mito, di cui poi divenne succube; per il resto era un incapace, cattivo e crudele, che amava circondarsi solo di uomini mediocri perché questi gli davano sempre ragione. In concreto era una mente gravemente disturbata, uno che si sopravvalutava, perennemente alla ricerca di qualcosa che lo vedesse protagonista. Dell’Italia e degli italiani non gli importava un fico secco e l’atto forse peggiore della sua vita fu quello di accettate la guida della Repubblica fantoccio di Salò, evento che determinò l’inizio di una sanguinosa guerra civile. Quindi aveva ragione Churchill quando diceva che era meglio avere l’Italia come nemico piuttosto che come alleato, e infatti fu una palla al piede per la Germania.
La capacità di Denis Mack Smith di parlare di tutto questo in modo semplice e avvincente è veramente fuor del comune; il libro non stanca mai e vi si respira, pur da ex nemico, un invidiabile spirito di imparzialità. Le successioni degli eventi sono scandite senza intoppi e posso dire che si ha una concreta visione delle guerre del duce e non solo, perché quel che più conta, l’analisi psicologica di Mussolini è veramente approfondita. Non mancano poi pagine zeppe delle indispensabili fonti, così che questo è un saggio di primaria importanza, uno di quei volumi che non dovrebbero mai mancare nelle biblioteche personali e scolastiche, onde, comprendendo il passato, evitare il suo ripetersi in futuro.
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Dell'autore ho letto altro. Si tratta, certo, di un eccellente studioso .