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La fragilità dei numeri uno
In autogrill, mentre aspettavo in fila un caffè, ho iniziato a leggere distrattamente le prime pagine di questo libro senza nessuna aspettativa, in fondo le biografie dei campioni dello sport sono fatte con i soliti ingredienti: fatica alimentata da un’instancabile passione, gesta epiche e gloriosi trionfi conditi con la soddisfazione di essere numeri uno.
Invece no. Il tennista che mi trovo davanti non è quello patinato che solleva la coppa di Wimbledon ma un uomo alla fine della carriera, con il corpo straziato da vent’anni di fatiche, che lotta contro il dolore fisico per giocare la sua ultima partita e dice «Gioco a tennis per vivere, anche se odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato”.
Per la sorpresa, il libro l’ho comprato subito e non me ne sono pentita.
E’ la storia di un ragazzo fragile, che potrebbe essere ciascuno di noi, un ragazzo alla ricerca di una propria motivazione aldilà delle aspettative e delle imposizioni paterne, un ragazzo che si affanna per trovare se stesso e riconoscersi nell’immagine di sé che pubblico e marketing hanno plasmato. Perché altrimenti anche le più belle vittorie risultano sempre velate dall’amarezza dell’insoddisfazione.
Un romanzo che consiglierei a tutti. Innanzitutto a chi ama il tennis perché da sfondo alla storia c’è la bellezza di questo sport solitario, in cui la mente e la psiche sono tanto importanti quanto l’atletismo ed il talento. Ma anche a chi non lo conosce perché si appassionerà alle continue cadute e risalite di questo ragazzo, narrate in modo estremamente vivido e coinvolgente (lo zampino del “ghostwriter” premio Pulitzer J.R. Moehringer). Magari poi, come è successo a me, comincerà ad appassionarsi anche al tennis.