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Tra storia e biografia
Così bisognerebbe studiarla, la storia. Attraverso le testimonianze di chi l’ha vissuta. Ed è alle giovani generazioni del nostro tempo, non più abituate a uno studio nozionistico, che ciò sarebbe particolarmente utile. Questo è il pregio fondamentale dell’opera di Stefan Zweig, “Il mondo di ieri”, che ripercorre la storia dell’Europa dai primi del novecento fino all’inizio della seconda guerra mondiale: egli ci consegna una testimonianza diretta dei tragici fatti che cambiarono la storia del mondo con la partecipazione emotiva dell’intellettuale che si era sempre battuto per la pace, con l’ideale aspirazione di vedere realizzata una Europa unita. Egli dunque si sofferma non solo sulle conseguenze che politiche scellerate ebbero sui popoli vittime di decisioni di cui erano assolutamente ignari, ma anche sull’influenza che esse esercitarono sul mondo della cultura e dell’arte.
Zweig guarda con nostalgia all’Austria dell’impero asburgico, a ciò che essa aveva rappresentato in Europa, ne esalta il ruolo leader nella cultura, nell’arte, nella musica. Ricorda i grandi musicisti, celebra gli antichi legami con i più eletti tra i poeti, gli scrittori, i compositori di ogni paese europeo. Rievoca i suoi viaggi nel mondo, le esperienze emozionanti, prima dello sconvolgimento creato dalla prima guerra mondiale. Ha nostalgia di quell’ordine puramente formale ed estetico, diverso da quello repressivo e violento degli squadristi di Hitler. Eppure proprio dalla frammentazione di quell’ordine sono nate le opere più importanti e innovative del novecento, l’Ulisse di Joyce, La Waste Land di T.S.Eliot, il cubismo di Picasso. Questo forse l’unico limite nella nostalgia di Zweig: egli non realizza quanto fosse necessario nell’Europa del primo dopoguerra scomporre la realtà, atomizzarla per ricostituire un’unità armoniosa. D’altra parte lo stesso Freud, suo grande amico, non aveva fatto altro, nel suo studio dell’ego, che analizzare, sezionare la psiche umana, per restituirle l’equilibrio perduto.
L’analisi dei tempi portata avanti da Zweig si addentra nel campo difficile dell’educazione, della liberalizzazione dei costumi sessuali. Accetta le novità e ne sottolinea il benefico influsso sullo sviluppo espressivo dei giovani.
Ciò che appare particolarmente interessante è il continuo costante paragone tra le motivazioni che hanno generato le due guerre più sconvolgenti d’Europa. Egli ricorda l’entusiasmo assolutamente ingiustificato con cui l’Austria e la Germania si fossero gettate nella guerra del ’14, per uscirne umiliate e distrutte economicamente e politicamente. Egli ricorda con amarezza i giorni dell’ascesa di Hitler forieri d’una guerra ancora più feroce, priva di ogni motivazione ideologica. Zweig si sofferma a lungo sulla persecuzione degli ebrei, appena iniziata al tempo in cui il suo racconto si interrompe. Con angoscia denuncia la solitudine e la disperazione di quanti in Europa si erano integrati assimilando la cultura e le tradizioni dei paesi in cui avevano messo radici, perdendo ogni identità ebraica e divenendo a tutti gli effetti cittadini austriaci, tedeschi, francesi, polacchi e così via. Perseguitati, i più fortunati riprendono il cammino in cerca d’una patria, in cerca di una nuova identità.
In questo clima la funzione dell’intellettuale è vanificata, a meno che egli non sia organico al regime. Ed ecco che la cultura portatrice di valori di pace viene isolata e demonizzata.
La citazione che Zweig trae da Shakespeare “So foul a sky clears not without a storm” (Un cielo così nuvoloso non si rasserena senza una tempesta”) assume un significato ancora più illuminante nelle righe conclusive della sua memoria: “Mentre tornavo a casa mi accorsi d’un tratto della mia ombra che si allungava davanti a me [….] Da allora quell’ombra non mi ha più abbandonato [….]. Ma in fondo ogni ombra è anche figlia della luce, e solo chi ha conosciuto luce e tenebra, guerra e pace, splendore e decadenza, può dire di avere vissuto davvero.”
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Ferruccio
Complimenti e grazie
Riccardo
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