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Prima, durante, dopo
“Spero di non vedere più un’altra battaglia: questa è stata troppo scioccante. È troppo vedere uomini così valorosi, così degni gli uni degli altri, che si tagliano a pezzi in quel modo.” (Sir Arthur Wellesley, I Duca di Wellington)
Come è riportato in tutti i testi scolastici la battaglia di Waterloo, combattuta il 18 giugno 1815 fra le truppe francesi e quelle inglesi e dei loro alleati prussiani, si concluse con la sconfitta dei primi e sancì la definitiva uscita di scena di Napoleone Bonaparte, condannato a una sorta di esilio-prigione nella sperduta isola di Sant’Elena. La vittoria, che dapprima sembrava arridere a l’Armée du Nord, fini invece per essere ottenuta dai suoi avversari grazie all’improvvisa comparsa sul campo di battaglia dell’esercito prussiano. Di questo grande e sanguinoso evento bellico parla lo storico Alessandro Barbero in La battaglia Storia di Waterloo. Come è sua abitudine nel ricercare la maggior completezza d’informazione scrive del prima, del durante e del dopo, fornendo tutti i possibili dati per meglio comprendere il significato di questo scontro. E lo fa con pazienza certosina, elencando per esempio le forze in campo, suddivise per stati partecipanti, il loro armamento, le loro divise, la struttura logistica, le tecniche di battaglia a cui erano addestrati, non trascurando le figure dei comandati in capo, come Napoleone Bonaparte per i francesi, il duca di Wellington per gli inglesi e il feldmaresciallo von Blucher per i prussiani.
Per quanto Barbero cerchi di essere chiaro e snello, così tante notizie propedeutiche, per quanto utili, ogni tanto costringono il lettore a concedersi un po’ di riposo, frastornato dalla mole di dati e di informazioni che gli vengono sottoposti, ma dove lo storico piemontese da il meglio di sé è nella descrizione vera e propria dello svolgimento della battaglia, forse qui più da narratore che da saggista, anche se si ritrae la convinzione che in ogni caso si sia attenuto rigorosamente a quanto effettivamente avvenne, sulla base di un numero considerevole di fonti. Entra così in gioco una spiccata creatività che ci porta a vedere gli scontri in una serie di lunghe sequenze come se si trattasse di una pellicola cinematografica, e sembra quasi di udire il rullo dei tamburi, gli spari dei fucilieri, il nitrito dei cavallo morenti, il rumore delle cannonate che i due avversari si scambiarono senza risparmio. Questa è la parte indubbiamente migliore di un saggio che si colora di romanzo storico, che avvince e convince, anche se sovente ci si perde sul terreno fra le posizioni degli opposti schieramenti in un territorio che ci è sconosciuto e che le poche cartine disponibili aiutano poco a identificare. Ci sono scene così ben descritte che si ha proprio l’impressione di essere presenti agli scontri, di vedere le formazioni inglesi che in quadrato resistono all’assalto dei Corazzieri, la famosa e letale cavalleria francese, quasi si odono gli strepiti dei fanti che vanno all’attacco al grido di “Viva l’imperatore” e perfino il rantolo dei moribondi risuona nelle orecchie; il fumo degli scoppi irrita le narici e pare di essere travolti da orde di soldati esasperati e disperati che pensano solo a scannarsi. In tutta sincerità sono dell’opinione che l’autore abbia visto “Waterloo”, il famoso film di Sergej Bondarciuk uscito nel 1970, una pellicola di grande pregio con Rod Steiger nei panni di Napoleone e Christopher Plummer che impersona il Duca di Wellington.
Come è più che logico, leggendo questo libro viene naturale chiedersi il perché della sconfitta di Napoleone che alla vigilia della battaglia era considerato il favorito alla vittoria; i motivi sono più d’uno, come sempre in questi casi, anche perché gli errori e le deficienze sono proprie di entrambi i contendenti. Non si può imputare al fatto che il giorno e la notte prima fosse piovuto abbondantemente e che pertanto il terreno fosse d’ostacolo alle manovre, soprattutto a quelle dell’artiglieria, poiché questo dato interessava entrambi gli schieramenti; né si possono imputare colpe di scarsa combattività e di inadeguata preparazione dei francesi, perché all’epoca il loro esercito era il migliore in assoluto; d’altra parte non si può nemmeno considerare la strategia di Wellington come geniale, perché era l’unica che gli era possibile, cioè resistere a oltranza fino all’arrivo dei prussiani; lasciando da parte la sfortuna, che in questi casi ha un’incidenza relativa, l’errore maggiore è stato proprio di Napoleone che ha sottovalutato la possibilità che l’esercito prussiano, alla cui caccia si era messo da due giorni il maresciallo Grouchy, potesse comparire sul campo di battaglia; tuttavia, il calcolo dell’imperatore non era del tutto infondato, perché contava che, se fossero arrivati i prussiani, alle loro calcagna ci sarebbe stata appunto l’armata inseguitrice, che però si era messa a cercare in tutt’altra direzione.
Si sa come andò a finire: l’esercito di von Blucher, dopo una marcia forzata, arrivò giusto in tempo per dare una mazzata ai francesi, mentre Grouchy non giunse mai a Waterloo, impegnato di continuo in confusi combattimenti con la retroguardia prussiana. Napoleone aveva perso non solo una battaglia, ma anche il trono; già tuttavia era un uomo stanco e finito e i famosi cento giorni ora possono apparire come l’estremo tentativo di un grande protagonista della storia di opporsi al suo declino, ma in questi casi il risultato è sempre negativo, perché chi è stato tanto in alto e quasi sempre vittorioso non può portarsi appresso i fantasmi delle sconfitte, soprattutto quello della tragica disfatta della sua grande armata nel corso della campagna di Russia. Quel sole splendente che gli aveva arriso ad Austerlitz non era che un lontano ricordo, sotto il cielo grigio del Belgio e nel buio di chi sa che non avrà più futuro.
La battaglia Storia di Waterloo è un libro da leggere e rileggere, non solo perché è di notevole interesse, ma anche perché è bellissimo.
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Ferruccio