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Il Garibaldi tirolese
Credo che, se anche poco realmente conosciuto, di Andreas Hofer molti abbiamo sentito parlare, soprattutto in Tirolo dove da oltre duecento anni è oggetto di vera e propria venerazione. Per certi aspetti ha rappresentato per quelle popolazioni quello che è stato per noi Garibaldi, cioè il guerriero che si è battuto per l’indipendenza. Si è trattato di un eroe carismatico che nella sua azione ha saputo riunire in una impari lotta contro gli occupanti francesi e bavaresi la gente di quella regione, che andava da alcuni chilometri a nord di Innsbruck fino a Rovereto, ricomprendendo a Est anche l’Ampezzano. Non era dotato di grandi capacità militari, ma grazie alla sua indubbia ascendenza sulle truppe costituite non da soldati di professione, ma da popolani (i cosiddetti Schutzen) e con l’aiuto di un luogotenente assai valido come tattico e stratega riuscì, con una condotta di guerra tipica della guerriglia, a tenere in scacco il nemico, riportando anche alcune clamorose vittorie, a differenza dell’esercito austriaco, più volte sconfitto, e che prese una vera e propria batosta a Wagram. La pace di Schonbrunn mise a tacere definitivamente l’Austria, che non solo dovette rinunciare al Tirolo, ma che ingenerò nel suo sovrano un senso di rispettoso timore verso Napoleone, tale da indurlo a togliere ogni sostegno ad Andreas Hofer. Questi, ormai prigioniero del suo stesso mito, non rinunciò a combattere, ma con esiti questa volta disastrosi, tanto da costringerlo a rifugiarsi in montagna in una malga. Lì, grazie al tradimento di un tirolese, fu catturato e portato a Mantova in catene, dove subì un processo il cui esito fatale era già stato deciso da Napoleone e che si concluse con la condanna a morte, nonostante che i mantovani avessero cercato con una colletta di liberarlo e che comunque gli furono vicini, in quanto ostili a un regime francese vessatorio. Il 20 febbraio 1810, a Porta Giulia, Andreas Hofer fu fucilato; si comportò, prima di morire, in modo dignitoso, senza mostrare né rimpianti, né odio, come era sempre vissuto e sostenuto da quella fede religiosa che non era mai venuta meno. Da allora, ogni anno, in quella ricorrenza, scendono a Mantova centinaia di Schutzen dal Nord Tirolo, dal Sud Tirolo, dal Trentino e dall’Ampezzano. Vestiti nei loro caratteristici costumi, con gli schioppi e la banda, commemorano il loro eroe, unitamente alle autorità cittadine e ai tanti mantovani ai quali, di generazione in generazione, è stata tramandata la vicenda di un uomo che si immolò per la libertà del suo popolo.
Roberto Sarzi, attento osservatore e che conosco dagli anni dell’Università, ha scritto di questa vita straordinaria, scremando le fantasie del mito e consegnando alle stampe il ritratto di un uomo che nulla desiderava per sé, ma che tutto faceva per la sua patria. È ripercorsa questa breve esistenza (morì a 43 anni) con mano sicura, sulla base di una documentazione più che attendibile e nel modo più asettico possibile. Ciò nonostante si avverte, soprattutto verso la fine, una punta di commozione, del tutto naturale peraltro, perché nel momento in cui Andreas Hofer cade sotto il piombo francese termina la cruda e dura realtà dei fatti e nasce il mito, a cui, per chi ama la libertà, è impossibile sottrarsi.
Corredato da numerose fotografie e da un puntuale elenco delle fonti, Andreas Hofer a Mantova in catene… è di uno di quei libri che non dovrebbero mai mancare in una biblioteca personale, sia per l’indubbia valenza storica, sia per conoscere un protagonista a cui vi sentirete sicuramente vicini.