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Colline insanguinate
Tutti a scuola abbiamo studiato la storia del nostro periodo risorgimentale e ciò per una semplice ragione: dalle guerre combattute in quegli anni uscì un nuovo stato, l’Italia. Al di là del pur gloriosa impresa di Garibaldi e delle sue camicie rosse che con il loro ardimento, ma anche con il concorso determinante del Regno di Piemonte che corruppe a destra e a manca politici e militari del Regno delle Due Sicilie, è innegabile che il teatro principale di tutto il nostro Risorgimento sia stata la Lombardia, soprattutto nella sua parte orientale, dove vennero combattute furiose battaglie. Se ci si chiede come mai le operazioni militari si siano svolte prevalentemente sui colli morenici del Garda e quindi su un terreno poco pianeggiante e sfavorevole al movimento degli eserciti, la spiegazione sta unicamente nel fatto che esisteva una grandiosa linea di difesa, non rigida, ma elastica, costituita dal famoso quadrilatero con le fortificazioni di Peschiera, di Verona, di Mantova e di Nogara, i cui lati molto lunghi potevano peraltro consentire una vigorosa penetrazione, se compiuta con uomini e mezzi in numero adeguato, così da mettere in difficoltà l’intero sistema.
Mantova, già in passato, all’epoca dei Gonzaga, era ritenuta imprendibile, ma non lo fu, visto il saccheggio del 18 luglio 1630 a cui fu sottoposta dai lanzichenecchi; inoltre fu conquistata dalle truppe napoleoniche, scacciate poi dagli austriaci. Restò invece inviolata proprio durante le tre guerre d’indipendenza, nonostante l’assedio posto nella prima, ed era da lì e da Verona che partivano le truppe asburgiche per contrastare il nemico che veniva da ovest.
Il generale Armando Rati, mantovano di nascita, ha consegnato alle stampe un libro assai interessante in cui descrive gli aspetti militari di battaglie come quelle di Solferino, di San Martino e di Custoza, non tralasciando tuttavia, e senza appesantire la narrazione, gli accadimenti politici forieri delle nostre tre guerre per l’indipendenza. Se il lettore ha timore che movimenti di truppe, orari, caratteristiche degli scontri possano risultare gravosi, preciso da subito che l’autore è riuscito in modo encomiabile a dare, senza esser greve, una visione di queste battaglie, divise quasi sempre in episodi ben precisi, in fatti d’arme che nel loro insieme costituiscono il vero e proprio combattimento, quello che a scuola ci è stato di in volta indicato come le vittorie di Solferino e di San Martino, o come le sconfitte di Custoza, ameno paese del veronese teatro di sanguinose lotte sia nella prima che nella terza guerra d’indipendenza. Pur con il dovuto rigore dello storico, Rati non si ferma a una mera descrizione, ma va oltre, parlando dei prodromi, cioè della preparazione, e delle conseguenze, riuscendo così a far capire come mai nel 1866, benché perdenti a Custoza, ma ancora nel pieno delle forze, peraltro superiori a quelle austriache, non riuscimmo a uscire dal pantano di incertezze con cui avevamo avviato quel conflitto bellico e buon per noi che la Prussia nostra alleata sconfisse gli austriaci, permettendoci di ottenere, sebbene per interposta forza, il Veneto. L’autore, che è uomo d’armi e quindi particolarmente competente, non tira tuttavia le conclusioni, anche perché sono evidenti: la mancanza di un piano ben definito, che mancò anche nella Grande Guerra, portando però a conseguenze molto più tragiche, atteso il numero di militari morti. Come sempre ai nostri soldati non hanno mai fatto difetto il coraggio e l’abnegazione, doti che a volte sono riuscite a supplire alla disorganizzazione dei nostri comandi, in cui approssimazione, eccesso di sicurezza e anche puerile rivalità serpeggiavano, caratteristiche riscontrabili anche nei due grandi conflitti del secolo scorso.
In questo libro, inoltre, vi è da rilevate la grande obiettività dell’autore, teso sì ad esaltare il valore dei nostri soldati, ma anche ad evidenziare quello dei nostri nemici, insomma un’opera, che sotto qualsiasi aspetto la si guardi, è senz’altro meritevole di essere letta.