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1968
Il 1968 in Italia non indica 365 giorni ben delimitati.
Che esso si “dilati” lo si capisce sin dal titolo del libro: il '68 è un grido, un movimento, una minaccia o una speranza (a seconda del punto di vista), una degenerazione, una difficile (e forse amara) presa di coscienza.
E' Allucinogeni, Alternativa, Assemblea, Black power, Cent'anni di solitudine; Eskimo, Fabbrica, Femminismo, Impegno, Jeans; è Locali, Marcuse, Mito del Che, Movimento proletario, Operai e studenti, Porci con le ali, Rivoluzione sessuale, Slogan, Ultimo tango a Parigi; è che “l'Utero è mio e lo gestisco io”...
… poi, d'improvviso, è Attentati, Autonomia operaia, Brigate rosse, Bombe, Commissario Calabresi, Gambizzazioni, Giangiacomo Feltrinelli e Giuseppe Pinelli; è Lotta continua, Opposti estremismi, Partito armato, P38, Picchettaggi, Renato Curcio, Spranghe, Strage di Piazza Fontana, Terrorismo rosso.
Infine “E' un momentaccio”, la frase apparsa su un muro di Torino dopo la morte di Roberto Crescenzio, che il 1° ottobre 1977 ha la sola sfortuna di trovarsi seduto fuori ad un bar ritenuto un covo di antagonisti politici degli estremisti di sinistra. La frase che, più di tanti discorsi e programmi, svela quanto la gente, a quasi dieci anni dall'inizio di quell'epoca, fosse stanca di tutta quella violenza.
In questo libro, scritto da un giovane giornalista del “Corriere della Sera” e pubblicato nel 1994, si ricorda come il '68 sia stato – solo in Italia, caso unico – un decennio (1968-1977) avente la sua genesi nella “contestazione” (paradossalmente iniziata nelle università cattoliche del Nord) e il suo termine nella “lotta armata” (alla quale si approda quasi subito, dopo la strage di Piazza Fontana dell'ottobre '69).
Michele Brambilla ha il merito di essere sintetico quanto si deve – 10 anni “densi” ripercorsi in 225 pagine –, così da riuscire a toccare tutti gli avvenimenti che in qualche modo hanno contrassegnato quel periodo del nostro Paese e continuano a farlo (senza lasciare fuori gli “altri” sessantottini: quei giovani che, pur non coinvolti immediatamente negli idealismi e nella contrapposizione politica, hanno vissuto le mode e le tendenze di quel periodo, risultandone comunque protagonisti).
Un racconto, quello del giovane giornalista, che si conclude poco prima della mattina del 16 marzo 1978, quella in cui Aldo Moro esce dal portone dell'edificio romano in cui abita, scambia i saluti con il suo fidato caposcorta, il maresciallo Oreste Leonardi, e sale in macchina, facendo mentalmente un riassunto degli impegni che lo aspettano in quella lunga giornata...
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Commenti
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C'è chi l'ha fatto, secondo me, e ne ha una certa nostalgia... vero Bruno? :) Detto tra noi, oggi sarei più vecchio, ma mi sarebbe piaciuto esserci: prima della degenerazione del periodo successivo, devono essere stati anni particolarissimi...
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Ciao Rollo :-)