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Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco
 
Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco 2014-07-18 08:51:46 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    18 Luglio, 2014
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Non solo montagne


"Come Dino Buzzati potrei scrivere che 'tutte le mattine della vita, alzandomi dal letto e affacciandomi alla finestra della mia camera, ho visto una cerchia di monti. I monti della mia esistenza, stampati non solo nella memoria ma nel profondo delle coscienza, da quei monti strettamente condizionato'. Su quei monti ho conosciuto le guerre della mia vita, la fascista e la partigiana, i miei nemici e i miei maestri, fra cui ritorno in queste pagine".

Accade sovente di non leggere l’introduzione di un libro, per svariato motivi, non ultimo quello che la si ritiene forse superflua, o piuttosto capace di influenzare a priori il giudizio. Nel caso di Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco è invece più che opportuno dare un’occhiata all’introduzione, stilata dalle stesso autore, perché così è possibile comprendere lo spirito dell’opera, caratterizzata da diversi articoli che solo a prima vista sembrano non avere un filo comune. Giorgio Bocca ha dedicato alle sue montagne un monumento stampato, rilievi inerti nel tempo, ma intorno ai quali ha corso, corre e continuerà a correre la storia. In queste pagine non c’è nulla d’inventato di sana pianta, ma vengono narrate esperienze personali in relazione a tutto ciò che ha a che fare appunto con le montagne. E così, suddiviso il libro in nove capitoli sulla base delle tematiche, troviamo gli scritti sui primi mesi di guerra sul fronte francese delle Alpi, in cui lo spirito acuto e ironico di Bocca evidenzia ancora una volta la fatuità del fascismo, tutto fumo e niente arrosto, con un’impreparazione bellica che a volte porta perfino a ridere. E poi c’è l’epoca successiva, cioè quella che si snoda dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, con questi monti che sono teatro della resistenza, a cui l’autore partecipò attivamente, diventando anche un comandante di brigata delle formazioni Giustizia e Libertà. Sempre nelle terre di quei rilievi, oltre alla natura splendida descritta nei capitoli “Noi del Monte Bianco” e “Gli anni degli sci veloci” non potevano mancare i personaggi, più noti come Mattei ed Einaudi, e altri quasi sconosciuti, ma non meno interessanti, come Mascarello, il coltivatore di vigneti. Per uno come Bocca, abituato a vivere lontano dalla grande città, la provincia, con il suo mondo chiuso, ma più a misura d’uomo, rappresenta un’oasi di pace al punto da dedicarle un intero capitolo, così come ampia è la trattazione di quel torrente che scende dal Monviso e attraversa tutta la pianura padana, ingrossando sempre più, per finire in Adriatico. Sono belle le descrizioni del corso del Po e della montagna da cui nasce e l’autore ha saputo cogliere anche lo spirito delle genti che si affacciano sulle sue sponde. Fiume maestoso, ora ridotto a una fogna a cielo aperto, può sembrare il ritratto di un amico pacioso, ma guai se le piogge autunnali lo gonfiano, perché allora può diventare cattivo e al riguardo riuscito è l’articolo sulla famosa alluvione del Polesine; si respira quasi l’acqua, immersi nel grigio del cielo e nel marrone torbido dell’acqua, palpabile è il dramma, con la gente arrampicata sugli alberi ad attendere i soccorsi, nel freddo di novembre, gente per lo più già povera e ora misera del tutto.
Però, Bocca non vuole essere incline alla tristezza e infatti il libro si conclude con uno scritto dedicato alla nazionale di calcio trionfatrice ai mondiali del 1934 e del 1938. Ci si chiederà che cosa c’entri la nazionale con le montagne ed è presto detto: il suo famoso allenatore Vittorio Pozzo era piemontese ed era un montanaro. L’autore, tuttavia, analizza con disincanto anche il tifo calcistico di quell’epoca e dell’attuale, concludendo amaramente con queste parole: “ Notti magiche, notti roventi. La riscoperta di un nazionalismo senza nazione, di un patriottismo senza patria, di un’etica senza morale. Un caos appassionante dietro una palla che va dove vuole.”. E’ un ritratto perfetto di noi italiani, una sintesi memorabile, forse impietosa, ma che risponde al vero.
Il libro si legge che è un piacere e quindi non posso che consigliarlo, perché si tratta di un’opera ottimamente riuscita..

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