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Life
 
Life 2014-07-16 16:14:03 Zine
Voto medio 
 
4.6
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Zine Opinione inserita da Zine    16 Luglio, 2014
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Un magico e micidiale blues

Parlare di sé non è mai facile. Ancora più difficile dev’essere tirare le fila di una vita intensa fino allo spasimo, condita di leggende mai dissipate (volontariamente o per fantasia cocciuta di chi ci crede), densa di nomi, storie, fatti anche di portata storica. Un mondo magico e micidiale come quello della musica rock.
Keith Richards, il celeberrimo chitarrista dei Rolling Stones, ci si prova con questa imponente autobiografia, scritta con semplicità e senza fronzoli, senza maschere ma permeata di tutto il primordiale carisma che lo caratterizza. Per una volta, niente biografie scritte da altri, che sanno travisare o arrangiare ad arte i fatti e le parole, tratteggiando un personaggio che spesso si allontana parecchio dall’uomo reale, matto artista sempre sull’orlo dell’autodistruzione ma anche uomo di profondi affetti familiari e convinto assertore del valore dell’amicizia.
Richards condisce la sua autobiografia con alcune foto, private e non, dalla sua infanzia ai giorni nostri, una chicca per i fans. Con un linguaggio scarno ma preciso, racconta la sua esistenza fin dai primi anni d’infanzia, quando viveva con i genitori a Dartford, cittadina un tempo covo di banditi e nel dopoguerra triste angolo di provincia senza pretese.
I giorni di monello del giovane Keith erano già solleticati dalla musica. Il nonno musicista lo portava spesso a veder riparare gli strumenti, constatando il desiderio crescente del nipote per la chitarra. A scuola, la sua bella voce gli aveva valso il ruolo di soprano nel coro, unico raggio di sole in una carriera educativa noiosa, frustrante e densa di soprusi da parte dei compagni, cosa che gli insegnò ben presto a imparare a difendersi (ancora oggi Richards non si separa mai da pistola e coltello, che sa usare con maestria).
Le delusioni e la comprensione che gli adulti erano tutt'altro che infallibili, la percezione dell’autorità delle istituzioni come una prevaricazione dei propri desideri, condurranno Richards a quel fare ribelle che lo farà espellere da scuola mettendolo così nelle condizioni di dedicarsi a ciò che sapeva essere il suo destino: la musica.
Il chitarrista racconta quindi la difficoltosa genesi del gruppo originario dei Rolling Stones, i mesi passati a studiare come eremiti tutti i dischi del blues di Chicago, la difficoltà di ottenere serate e una paga che consentisse almeno di mangiare. Eppure, nonostante la difficoltà, tutti sentivano di poter sfondare, cosa che accadrà con una velocità sconvolgente, portando il gruppo in cima alle classifiche.
Richards non nasconde granché dei guai combinati da lui e dagli altri una volta entrati nel giro della discografia (per quanto il chitarrista non abbia mai amato lo star-system). Donne come se piovesse, un problema sempre più grave con la droga, culminato con una traumatica disintossicazione solo molti anni più tardi. I guai con la legge, veri o ricercati ad arte da quelle forze dell’ordine che vedevano nei Rolling Stones l’epitome della gioventù bruciata da punire e sopprimere. I problemi di una collaborazione tanto lunga fra persone con un carattere dominante e aspirazioni differenti.
Alle vicende della band si allacciano quelle sul piano personale, la famiglia e i figli, cui Richards è profondamente legato. L’autobiografia è una lunga passerella di persone che hanno significato molto per il musicista, un uomo che crede profondamente nell’amicizia e che conserva come tesori coloro che sente vicini al suo mondo e alla sua sensibilità. Molti i lutti, dovuti principalmente al male serpeggiante dell’uso di droga. Si scopre un uomo acculturato, un vorace lettore che sa sorprendere con citazioni imprevedibili.
Stupende le dissertazioni sui trucchi alla chitarra, sui tentativi fatti per scoprire un certo suono, un riff sfuggente, anche se forse apprezzabili solo da chi conosce la musica e suona uno strumento. Bellissimi i momenti di collaborazione creativa con altri musicisti. La prosa conserva sempre un’autoironia che impedisce al testo di diventare stanco o ripetitivo, fornendo numerosi spunti per la risata e coinvolgendo il lettore senza alcuna captatio benevolentiae.
Imperdibile per coloro che amano i Rolling Stones e il panorama musicale degli anni ’60.

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