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Il dinamismo di una dinastia “doganale”
17 Marzo 1861
Con regio decreto, “Vittorio Emanuele II, per grazia di Dio re di Sardegna,di Cipro, di Gerusalemme, duca di Savoia, di Genova ecc. ecc., principe di Piemonte ecc. ecc., assume il titolo di Re di Italia”. E' nato lo Stato italiano anche se ci vorrà una Porta Pia per avere Roma capitale, una terza guerra di indipendenza e una prima guerra mondiale per avere l'unificazione completa. A capo del neonato stato italiano si pongono i Savoia, dinastia di ben 800 anni, di cui solo 100 passati con il titolo regio. Ma chi sono i Savoia? Come ha fatto una dinastia di evidente origine francese ( fino al trattato di Parigi del 1860 possedette infatti la regione che dà il nome alla famiglia e la contea di Nizza) e a lungo rimasta sconosciuta allo scacchiere internazionale, a essere salita al trono italiano? E perché non dinastie più “made in Italy”, come i Medici, i Gonzaga, gli Este? Ce lo spiega con arguzia e chiarezza Gianni Oliva con il suo “I Savoia. Novecento anni di una dinastia”.
Tutto ha origine nell 'XI secolo circa con dei contratti notarili concernenti delle donazioni di un certo “Humbertus comes”. Si tratta di Umberto Biancamano, primo conte di Moriana e capostipite dei futuri re d'Italia. Di lui sappiamo pochissimo, ma da atti di proprietà e da cronache medievali possiamo notare il rapido espandersi territorialmente e politicamente di questo conte sulle Alpi occidentali, specialmente sul Moncenisio e sulla Val di Susa. Sono territori aspri, rocciosi, avari di frutti e di risorse per un'economia che, nonostante la rivoluzione del 1000, è ancora fondata su un'agricoltura piuttosto arretrata. E come può quindi un signorotto insignificante avere rapporti con l'imperatore tedesco o con il re di Francia? Semplice: perché tra quelle fredde gole sono presenti valichi e passi montani, come il San Bernardo, che erano le uniche via di accesso per la Francia, sia dall'Italia che dall'Impero. Gli stretti divengono fonte di potere, perché su di essi possono essere posti dazi elevati e perché per essi devono passare,oltre che mercanti e soldati, anche ambasciatori, dignitari, aristocratici e regnanti. Quindi per le due principali teste coronate europee avere l'appoggio del Biancamano era indispensabile. E il conte Umberto di fronte a ciò, come si comporta? Ora si allea con uno ora con un altro, servendosi di spregiudicati interventi diplomatici che gli permettono di accrescere i propri territori fino al lago di Ginevra. E quale è lo strumento migliore per sancire un'alleanza? Il matrimonio: Umberto farà sposare suo figlio e successore Oddone con la contessa di Torino, Adelaide -donna carismatica ed energica del calibro della coetanea Matilde di Canossa- la quale farà entrare il Piemonte nell'orbita dei conti di Moriana. Ecco spiegato il segreto attraverso il quale i Savoia riusciranno a sopravvivere alla stagione dei Comuni, al Tramonto del Medioevo, alle guerre di Italia del '500, alla decadenza del Seicento fino ad ergersi a paladina della causa dell'unità italiana, sposata solo per mantenere e possibilmente accrescere il potere della dinastia: “stretti fra vicini potenti ( via via la Francia, l'Impero, la Spagna, l'Austria), i conti prima, i duchi poi, i re di Sardegna dopo ancora, hanno giocato la carta del dinamismo diplomatico e militare per salvaguardare la propria autonomia e per sfruttare le congiunture internazionali favorevoli in vista dell'espansione”. Il tutto è stato reso possibile grazie al carisma di Amedeo VI, il Conte Verde (1334-1383), alla scaltrezza di Amedeo VIII,(1383-1449), alla genialità di Emanuele Filiberto (1528-1580) e alla capacità di previsione del “padre della patria” Vittorio Emanuele II, ma anche a grandi donne come la spregiudicata Cristina di Francia (1606-1663) e l'amatissima regina Margherita (1851-1926). Tuttavia non bisogna tralasciare che i Savoia ebbero alti e bassi e svariate volte furono sul punto di perdere tutto, producendo “pecore nere”, quali Carlo Alberto “il re che vuole e disvuole”, Umberto I, “re-mitraglia” e Vittorio Emanuele III, “un re troppo piccolo costretto a regnare in un'età troppo grande”.
Gianni Oliva tratta così di un vasto periodo che spazia dal 1000 al 1946, districandosi tra le iperboli dei cortigiani adulatori e il disprezzo dei studiosi anti-monarchici, e riesce miracolosamente a rimanere imparziale e oggettivo mediante uno stile chiaro ma non banale, coinciso ma non sommario, approfondito ma non prolisso e mediante l'uso di un buon apparato iconografico, di limpide cartine storiche e di utilissime tavole genealogiche.
Un'opera che ci illumina profondamente sulle virtù e vizi, sulle genialità e ottusità, sui trionfi e le cadute di una dinastia che ha fatto la storia di questo paese e che vi è riuscita grazie alla flessibilità, già ritenuta da Machiavelli nel suo Principe basilare per il mantenimento del potere. Non posso fare,dunque, che consigliarvi questo saggio approfondito e ben strutturato. Buona lettura!
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PS Noto che in questo periodo ti dedichi al celeberrimo Sherlock Holmes! Fai bene! Credo che sia un personaggio interessante, anche se di Conan Doyle non ho letto nulla...
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