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Sonderkommando Auschwitz
 
Sonderkommando Auschwitz 2008-06-12 08:34:31 Maristella
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Opinione inserita da Maristella    12 Giugno, 2008

La testimonianza

L’istituzione delle unità speciali denominate Sonderkommando fu il più grave delitto commesso dal nazionalsocialismo in quanto le SS, attraverso questi reparti singolari, nati all’interno dei Lager, cercarono di scaricare ( se non anche di condividere) il crimine, con le loro stesse vittime”, così scrisse Primo Levi. Molti storici e diversi deportati avvalorarono questa tesi ed ebbero anche parole eccessivamente aspre nei confronti di chi si trovò, suo malgrado, costretto a farne parte. Lo stesso Levi li battezzò ingiustamente e forse un po’ superficialmente “ I corvi neri del Crematorio”. Gli uomini dei Sonderkommando subirono l’accusa di non aver tentato una ribellione che avrebbe sì portato alla morte sicura, ma sarebbe stata una sorte preferibile agli orribili compiti che venivano loro imposti con una violenza ed una ferocia disumana. Alcuni di loro tentarono di resistere al crescente orrore, altri non furono capaci di reggerne il peso e si suicidarono, ma la maggioranza di essi, perdendo ogni inibizione etica, sviluppò una forma di apatia che, robotizzando ogni azione ed annullando ogni pensiero cosciente, annichilì ogni umana emozione. Era questo l’unico modo per trovare scampo in quel terribile inferno in cui erano stati gettati.

I Sonderkommando vennero attivati in tutti i campi di sterminio nazisti. Sono pochi i sopravvissuti (solo dodici quelli attualmente viventi in tutto il mondo), perché i suoi appartenenti venivano uccisi dai tedeschi ciclicamente, al fine di non lasciare testimoni dell’agghiacciante sterminio compiuto.

Ma cos’ erano esattamente i Sonderkommando?

I membri di queste unità venivano selezionati tra i deportati, immediatamente dopo il loro arrivo al campo. Si trattava in genere di individui giovani e di costituzione fisica piuttosto forte in quanto i compiti a cui venivano destinati erano oltremodo duri e difficilmente tollerabili. Essi vivevano in baracche separate da tutti gli altri prigionieri, per evitare fughe di notizie e venivano trattati “meglio” degli altri, assegnando loro maggiori quantità di cibo, di indumenti e talvolta rifornendoli di alcolici e sigarette che li aiutassero a sopportare le mostruose ma indispensabili incombenze che erano tenuti ad eseguire.

Gli uomini del Sonderkommando dovevano: accompagnare i deportati verso le camere a gas senza lasciar trapelare la verità, anzi cercando di tranquillizzarli per evitare panico e rivolte, aiutarli a svestirsi e accompagnarli all’interno dei locali camuffati da docce comuni. Si trattava di un’ingente quantità di persone: nel Krematorium 2 di Birkenau ad esempio ogni camera a gas era capace di contenere 1400 “pezzi”( così erano considerate le persone umane) ma ne venivano fatti entrare più di 1700 per volta, per sveltire le operazioni. Una volta che le SS completavano l’eccidio, dovevano rimuovere i corpi dalle camere e trasportarli verso i forni crematori che erano perennemente in funzione. Le ceneri venivano poi disperse e i resti umani ulteriormente sminuzzati. Prima della cremazione dovevano provvedere al taglio dei capelli delle donne ( capelli che venivano usati nella fabbricazione di tappeti, moquette o di pantofole) e all’estrazione dei denti d’oro dai cadaveri ( oro che veniva fuso ed utilizzato per la causa del Reich). Verso la fine del conflitto vennero impiegati per smantellare tutto l’apparato usato nello sterminio, compresa la demolizione di fabbricati e ciminiere e l’incenerimento in roghi all’aperto dei corpi che non era stato possibile cremare.

Shlomo Venezia, italiano nato a Salonicco, è uno dei pochi uomini che è riuscito ad uscire vivo da un Sonderkommando. I suoi occhi hanno visto accadere cose inenarrabili e talmente inverosimili che difficilmente erano credute possibili. Shlomo era tormentato dalla “malattia dei sopravvissuti”, quel senso di colpa nell’essere riuscito a conservare la vita. Ogni tipo di gioia che accennava ad affacciarsi nella sua anima veniva istantaneamente sostituita da una disperazione profonda e da una tormentosa e lancinante angoscia. La sua vita, dopo quell’esperienza, era assolutamente non godibile. Per anni Shlomo Venezia mantenne il silenzio e il dolore dentro di sé fino a che dei fatti di cronaca avvenuti a Roma, agli inizi degli anni ’90, riportarono in luce simboli, idee e parole chiaramente antisemite. Così, dal 1992, Shlomo incominciò a raccontare, per allontanare lo spettro di una follia che sembrava far riemergere i fatti accaduti in Germania nel 1933, quando, come prima avvisaglia di ciò che poi avvenne, vi fu l’ostruzionismo e il boicottaggio delle attività commerciali gestite da ebrei. Il libro nasce da una lunga intervista filmata rilasciata a Béatrice Prasquier, studiosa di scienze politiche, elemento al centro del mondo universitario ebraico francese ed è a cura di Marcello Pezzetti ed Umberto Gentiloni, con prefazione di Walter Veltroni. E’ illustrato, inoltre, con alcune significative tavole di David Olére, artista anche lui appartenuto al Sonderkommando di Birkenau. E’ un libro di una grande integrità ed onestà morale, di grande correttezza e franchezza. Shlomo Venezia si limita a descrivere tutto quello che lo ha visto come diretto testimone, senza reticenza, esponendo i fatti nudi e crudi, senza commenti di sorta e senza indugi su nessun macabro particolare. Nonostante tutto, il quadro che trasmette è nitido e accurato: è un pugno nell’anima. A tutt’oggi, con un grande sforzo, continua a riaprire una ferita pulsante per far sì che l’orrore non venga mai dimenticato. E’ tornato più volte a Birkenau per far fede alla sua missione e dare la sua preziosa testimonianza ai giovani delle scuole, agli insegnanti di storia, alle organizzazioni ebraiche e cattoliche, alle scuole di partito, alle commissioni episcopali ed alle stesse guide di Auschwitz. E lo ha fatto per noi, per tutti noi. “ Credo nell’amore” dice Shlomo e dai suoi racconti, immersi nel raccapriccio e nella prevaricazione più atroce, affiora un vero e proprio inno alla vita e alla voglia di viverla a qualunque costo. “Essere vivo dentro l’inferno, vivere l’inferno da vivo. E raccontarlo oggi perché quell’esperienza resti nella memoria di tutti”. Viene voglia di inginocchiarsi e di chiedere perdono per ciò che la Storia ha fatto, spezzando crudelmente tante vite innocenti. Shlomo Venezia ci ha lasciato, con la sua preziosa testimonianza, un’arma che ci offre la possibilità di risvegliare le coscienze e di combattere strenuamente affinchè tutto ciò non possa essere mai più ripetuto.

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