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I prodromi del Rinascimento
La storia è un susseguisi di eventi che sono concatenati fra loro e nulla accade per caso, ma trova le sue origini nel passato, in una continuità che non deve stupire, perché lenta, e mai improvvisa, è l’evoluzione dell’uomo. Così non è possibile pensare che esista una cesura netta fra il Medioevo e il Rinascimento, fra il periodo oscuro, di apparente degrado del primo, e il tripudio di luce del secondo, non sbocciato come per incanto, ma pur esso frutto di ciò che è avvenuto in precedenza.
Johan Huizinga ha così considerato il Trecento e il Quattrocento il tramonto della civiltà medievale, quell’Autunno del Medioevo caratterizzato dalla nostalgia per un mondo e un modo di vivere che andava scomparendo, in cui sempre era presente, con il suo memento mori, la morte, signora assoluta di un’epoca, in antitesi prevalente con la vita, quell’incombente senso di precarietà a cui gli uomini di quel periodo cercavano di sfuggire costruendo intorno a se stessi la dimora effimera, ma salvifica, del sogno.
Sono secoli caratterizzati da guerre di dominio e di religione, funestati dalla grande diffusione della peste nera che nell’arco di soli cinque anni (fra il 1347 e il 1352) provocò una vera e propria ecatombe, tanto che ne morì almento un terzo della popolazione europea. Eppure, di fronte ai pericoli sovrastanti, gli uomini dell’Autunno del Medioevo non trovarono nuova linfa nella religione, che presentò anzi un temporaneo declino con l’aumento degli agnostici e degli scettici, in un primo passo verso quella via che poi riconoscerà all’essere umano il diritto di vivere pienamente la sua esistenza e quindi un capovolgimento di quel memento mori, che altri non era se non un lungo periodo di preparazione al trapasso, come se l’esistenza avesse ragione di essere solo in funzione della morte.
E’ il Rinascimento che si avvicina, ci sono tutti i suoi prodromi, eppure esiste il retaggio del Medioevo più oscuro, in un contrasto assoluto fra forme di spiritualità di intenso e alto livello e le bassezze di gente pronta a gioire, come in uno spettacolo, nell’esecuzione di una sentenza, per non parlare poi della crescente dissolutezza e di una violenza fine solo a se stessa.
La crudeltà e il terrore tardavano a essere bandite, retaggio di quel concetto di morte sempre presente, al punto da considerare la fine di una vita la suprema ambizione sorta con la nascita, e le efferatezze, le esecuzioni così terribili, in un’ondata di supertizione da cui non era indenne la Chiesa, erano l’inconsapevole tripudio delle paure di ogni ora, dimenticate appena nella lunga agonia dei condannati. Questo atteggiamento non era un mors tua, vita mea, ma quasi un sacrificio propiziatorio alla dea imperante, alla Morte.
Huizinga ci offre un quadro di straordinaria bellezza, il ritratto di un’epoca spesso dimenticata, perché l’uomo preferisce i periodi di luce, e non di buio, del suo passato, ma, a proposito di luminosità, sono anni quelli trattati in cui il passaggio dall’ombra alla penombra, e poi a un timido chiarore, segue un percorso logico, un continuum che tanto spiega dell’avvento poi del Rinascimento.
Certo l’opera è un po’ datata (fu pubblicata nel 1919) e ricerche successive hanno affrontato, anche con risultati innovativi, questo periodo, ma ciò nonostante è ancor oggi uno strumento indispensabile per accostarsi alla storia e per approfondire gli studi sulle origini del Rinascimento, senza dimenticare, che pur nella completezza della trattazione, la lettura non risulta mai difficile e anzi è appagante per l’esperto e per il profano.