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D’Annunzio meno mito
Chi sia Gabriele D’Annunzio penso, e spero, lo sappiano tutti, mentre assai meno noto è Giancarlo Maroni, tanto che viene lecito chiedersi chi fosse mai costui che, fra l’altro, poteva permettersi una fitta corrispondenza con il grande poeta abruzzese.
Giancarlo Maroni (Arco, 1893 – Riva del Garda, 1952) è stato un architetto, anzi l’architetto del Vittoriale, la dimora Mausoleo di Gabriele D’Annunzio a Gardone, ove si ritirò dopo l’esito infausto dell’impresa fiumana.
Quindi, fu in virtù di questo incarico che si avviò un’intensa corrispondenza fra i due, reperita da Ruggero Morghen e di cui si disserta in questo breve, ma interessante saggio.
In effetti può sorprendere come un epistolario possa gettare nuova luce su un artista tanto amato dagli italiani da venerarlo, spesso senza mai aver letto qualcosa di suo. In queste lettere, in cui si esprimono giudizi su alcuni lavori realizzati, si formulano ipotesi su altri, si chiedono e si rilasciano consigli, si rileva un progressivo affiatamento che porta al sorgere di una vera e propria amicizia, ma soprattutto si notano caratteristiche dell’uomo D’Annunzio che, nel separarlo da quell’alone di mito di cui lui stesso si era circondato, lo rendono più simpatico evidenziando una comune vulnerabilità.
Il poeta è tutto lì, è carne e ossa, sentimenti e affetti non da dio, ma da umile mortale, e in questa riscoperta di una dimensione normalmente umana in un’artista che finì con il diventare prigioniero del suo mito sta tutta la sua reale grandezza; ha fretta che l’opera sia conclusa, perché sa di essere mortale, e infatti, quattro anni dopo le lettere di questo epistolario che risalgono al 1934, Gabriele D’Annunzio morirà per un’emorragia cerebrale.
Sorgono spontanee molte domande, vista la differenza fra il D’Annunzio uomo e il D’Annunzio vate, ma una sopra tutte: fu fascista? Si può rispondere tranquillamente che non lo fu, benché il fascismo gli dovette molto. Se posso esprimere una personale opinione, dico solo che Gabriele D’Annunzio fu certamente uomo di destra, conservatore, ma libertario, non inquadrabile in nessuna ideologia politica, amante dell’ordine, ma anche di comportamenti fuori dei canoni, insomma un personaggio complesso in cui luci e ombre si alternavano con sorprendente rapidità.
Il saggio di Morghen è quindi un elemento prezioso per conoscere di più il poeta abruzzese, ma lo è anche per avere un altro angolo di visuale di un anno del ventennio che inevitabilmente si riflette, è presente in quelle lettere.
Da leggere, quindi, perché ne vale la pena.
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Commenti
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Mi ha colpito proprio l'aspetto umano, il limite dell'uomo, delle sue paure e delle sue ossessioni così drammaticamente celato dalla grandezza della dimora, dei giardini, degli arredi, degli orpelli, dell'autocelebrazione. Tutto stupisce, ma sai cosa ricordo di più? I suoi farmaci che così poco hanno di divino.L'uomo Dannunzio interessante sicuramente anche nella corrispondenza meno nota.
Laura