Dettagli Recensione

 
Morte dell'inquisitore
 
Morte dell'inquisitore 2010-11-20 10:46:52 Renzo Montagnoli
Voto medio 
 
4.6
Stile 
 
5.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    20 Novembre, 2010
Top 10 opinionisti  -   Guarda tutte le mie opinioni

L’annullamento delle fonti

“Pazienza
Pane, e tempo.

Queste parole, graffite sul muro di una cella del palazzo Chiaramonte, sede del Sant’Uffizio dal 1605 al 1782, Giuseppe Pitré riesce a decifrare nel 1906: insieme ad altre di disperazione, di paura, di avvertimento, di preghiera; tra immagini di santi, di allegorie, di cose ricordate o sognate.”


Il destino, spesso, riserva delle sorprese del tutto particolari e al riguardo Leonardo Sciascia mai avrebbe immaginato che quel personaggio di Fra Diego La Matina, incontrato casualmente raccogliendo i documenti d’epoca per il suo romanzo Il Consiglio d’Egitto, sarebbe diventato il protagonista di un altro libro, un’opera ultimata anche se incompiuta, suscettibile di nuove aggiunte, di altre ipotesi.
Certamente, più che il personaggio, è la genesi del reperimento della documentazione, incompleta, che portò lo scrittore siciliano a compiere un lavoro il cui grado di soddisfazione era per lui, per quanto possa sembrar strano, nella possibilità e nell’esigenza di rimettervi mano.
La vicenda in sé non è di eclatante interesse, con questo frate, recidivo, più volte condannato a pene sempre più severe e che infine, dopo aver ammazzato per esasperazione a manettate il suo inquisitore, viene giudicato, ritenuto colpevole e sanzionato con la pena capitale, secondo la più classica delle forme preferite dal Sant’Uffizio: il rogo.
I diari dell’epoca sono scarni, con poche informazioni, anche perché i documenti ufficiali sono stati bruciati nell’incendio ordinato dal viceré Caracciolo ed è quindi lecito formulare più di un’ipotesi in ordine al movente, e fra queste Sciascia respinge decisamente quella del delitto passionale a suo tempo formulata da William Galt nel romanzo storico Fra Diego La Matina. O forse questo frate era reo di aver interpretato il messaggio di Gesù Cristo in modo del tutto personale, con uno stravolgimento della dottrina corrente, al punto che era meglio non scrivere nulla delle sue idee teologiche, assumendo l’ipotesi che lamentasse l’esistenza di un Dio non giusto se tollerava le ingiustizie. Insomma, la mancanza degli atti del Tribunale lascia aperte tante porte, nessuna delle quali tuttavia pare condurre a qualche cosa di certo. Tutto sparito, anche se rimane il racconto dell’ultima notte del condannato, assolutamente da leggere con la massima attenzione, e la sua esecuzione, che avviene come se si svolgesse una festa paesana, con nobili in gran sfoggio e gente bramosa di annusare il profumo della morte.
Meticoloso nella ricerca com’era proprio Sciascia non c’è dubbio che anche in questa circostanza abbia proceduto con il massimo rigore, ma resta il fatto che, in assenza degli atti del Tribunale, le certezze sono poche e che quindi non è difficile comprendere il perché nella sua prefazione scriva, fra l’altro: “ La ragione è che effettivamente è un libro non finito, che non finirò mai, che sono sempre tentato di riscrivere e che non riscrivo aspettando di scoprire ancora qualcosa…”
Pagina dopo pagina si giunge alla convinzione che l’ispirazione per l’opera non sia tanto la vicenda di questo frate, ma la mancanza di fonti certe, la presenza solo di indizi che possono fornire al più l’atmosfera di tragedia per l’operato del Sant’Uffizio, tutti elementi che avrebbero fatto desistere qualsiasi autore, ma che per Sciascia costituiscono l’idea di una riscrittura, che si avvale proprio dell’annullamento delle fonti, per artatamente ricrearle, dotandole di una sottile vena ironica che giunge a vette eccelse nella pignolesca descrizione della parata che porta al supplizio.
L’autore realizza in tal modo un saggio esemplare, probabilmente una delle più acute e lucide condanne della repressione delle libertà di pensiero che siano mai state scritte.
E definirlo un’opera incompiuta è riduttivo, perché in effetti è un lavoro che nel momento in cui si completa lascia aperte nuove possibilità, nuove ipotesi, non tanto forse per un’altra riscrittura, ma per una ulteriore integrazione. In pratica non c’è un’ultima pagina, ma solo una pagina che chiude una porta nella consapevolezza che se ne potrebbero aprire altre.
Morte dell’inquisitore non è un libro facile, come è possibile comprendere, ma è di grande valore, senz’altro uno dei migliori fra quelli scritti da Sciascia.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
20
Segnala questa recensione ad un moderatore

Commenti

Per inserire la tua opinione devi essere registrato.

Le recensioni delle più recenti novità editoriali

Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La vita a volte capita
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il dio dei boschi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il sistema Vivacchia
Valutazione Utenti
 
4.5 (1)
Il passato è un morto senza cadavere
Valutazione Utenti
 
4.3 (2)
La mano dell'orologiaio
Valutazione Utenti
 
4.3 (1)
L'ora blu
Valutazione Utenti
 
4.5 (1)
Malempin
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Morte in Alabama
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La città e le sue mura incerte
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Per sempre
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Lo spirito bambino
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)

Altri contenuti interessanti su QLibri

Eleonora d'Aquitania
I diciotto anni migliori della mia vita
Tutankhamen
L'origine degli altri
Il tribunale della storia
Memorie dalla Torre Blu
Nulla è nero
Non per me sola. Storia delle italiane attraverso i romanzi
A riveder le stelle
Marco Polo. Storia del mercante che capì la Cina
The Queen. Diario a colori della regina Elisabetta
Margaret Thatcher. Biografia della donna e della politica
L'arte della fuga
Dante
Autunno a Venezia. Hemingway e l'ultima musa
Passione sakura