Una stanza tutta per sè Una stanza tutta per sè

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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    11 Febbraio, 2024
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Donne e romanzo

« Qui dunque, Mary Beton smette di parlare. Vi ha raccontato come è arrivata alla conclusione – conclusione prosaica – che se dovete scrivere romanzi o poesia è necessario che possediate cinquecento sterline l’anno e una stanza con una serratura alla porta. »

Dello scritto di Virginia Woolf, “Una stanza tutta per sé”, del 1928, colpiscono la lucidità dell’analisi del problema, la chiarezza delle argomentazioni, la piacevolezza dello stile.

Il celebre saggio si basa su due conferenze tenute da Woolf presso la Arts Society di Newnham e la Odtaa di Girton sul tema, complesso e affascinante, “Donne e romanzo”.

Partendo dall’analizzare la situazione a lei contemporanea, riguardante la letteratura e le donne, Virginia Woolf delinea un quadro profondamente maschilista e patriarcale della società in cui vive, che ha portato inevitabilmente ad una affermazione molto più lenta e difficoltosa nel tempo delle scrittrici rispetto agli scrittori maschi. La funzione della donna, per secoli, è stata quella si specchio riflettente per la figura dell’uomo; lo scopo della donna si è esaurito nel compiacere il senso di superiorità del maschio.

Non sarà quindi difficile scoprire la vera causa per cui nel corso del tempo quasi nessuna donna ha scritto poesia o opere teatrali. Certamente non si tratta di inferiorità intellettuale, di minori capacità del cervello femminile, come, purtroppo, è stato anche pensato e dichiarato dalla società maschilista e patriarcale. Molto semplicemente invece, sottolinea Woolf, la ragione va cercata nella disparità di condizioni materiali, che hanno portato alcune donne, anche dotate dello stesso ingegno creativo dei corrispettivi maschi, a dover rimanere in disparte, mute, in silenzio, costrette a privarsi di impegno intellettuale. Ecco spiegato perché è stato impossibile che una donna abbia scritto le opere di Shakespeare, all’epoca di Shakespeare.

E una volta trascorsi i secoli, e, arrivati finalmente al momento in cui alcune coraggiose donne, appartenenti alla classe media hanno rotto il tabù e hanno scritto, perché si sono cimentate con successo soltanto nel genere letterario del romanzo? Anche in questo caso occorre cercare la risposta non in questioni fisiologiche o in sospette disparità intellettuali fra i due sessi, ma nel fatto che, nell’Ottocento, una famiglia della classe media possedeva una sola stanza di soggiorno per tutti i suoi componenti e una donna che volesse scrivere era costretta a farlo soltanto nel soggiorno comune, dove veniva continuamente interrotta dalle incombenze familiari e dai visitatori. Inoltre, l’educazione letteraria che una donna riceveva agli inizi dell’Ottocento era unicamente un’educazione rivolta allo studio del carattere e all’analisi delle emozioni.

«Da secoli la sua sensibilità veniva educata sotto l’influenza della stanza di soggiorno comune.»

Nonostante tutto questo, possiamo dire, abbiamo avuto Jane Austen, Emily e Charlotte Bronte, George Eliot.

E siamo giunti ai primi decenni del Novecento, quelli in cui scrive Virginia Woolf. Qualche progresso era stato fatto rispetto al passato, ma ancora in quel momento pochissime donne erano laureate, quasi nessuna era una professionista, per non parlare dell’affermazione in politica, nell’esercito, nella diplomazia o nelle alte sfere economiche. Eppure erano pronte per entrare nella stanza della loro forza creativa.

Potremo mai dare una voce alla sorella di Shakespeare? E a tutte le donne che invece di studiare, pensare e scrivere si sono dedicate a allevare bambini, lavare i piatti e accudire genitori anziani? Secondo Virginia Woolf, che scriveva circa un secolo fa, sì, possiamo farlo. E effettivamente, lo stiamo facendo.

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martaquick Opinione inserita da martaquick    24 Agosto, 2020
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UN SAGGIO CHE COLPISCE AL CUORE DI TUTTI

Questo piccolo saggio della grande Virginia Woolf si può descrivere solo con una parola: stupendo.
Non so perché ho aspettato fino ad adesso per leggerlo ma, con il senno di poi, forse l’ho letto proprio nel periodo più giusto della mia vita è l’ho apprezzato al cento per cento.
Le prime pagine introduttive dove la Woolf ci racconta il suo incarico, scrivere delle donne e il romanzo, non mi facevano ingranare la marcia per continuare in modo spedito.
Andando avanti e entrando più nel fulcro del saggio ho iniziato a leggere la storia della donna e devo ammettere che mi ha fatto riflettere su cose a cui non avevo mai fatto caso più di tanto.
L’autrice ci racconta il nostro percorso come sesso femminile sempre all’ombra della “fazione contraria” ossia l’uomo.
La donna non poteva studiare, non poteva scrivere e non possedeva nulla perché era totalmente dipendente dal marito, poteva e doveva solamente governare la casa e i figli.
Prima del 1700 la scrittrice ci fa notare che esistono ben pochi se non nessun romanzo o poema femminile, i grandi classici che amo anche io leggere sono al novanta per cento scritti da mano maschile. È stato un colpo al cuore rendermi conto che non ci avevo mai pensato.
Virginia ci nomina tutte le scrittrici più famose che si sono rivelate pian piano dal 1700 in poi, alcune che già conoscevo e ho letto, altre che non avevo ancora incontrato e che mi sono segnata nella mia lista di letture.
Piena di ironia e di spunti di riflessione, il saggio scorre e mi lascia tante emozioni, rabbia, sgomento, tristezza ma anche meraviglia e fiducia nella crescita della donna, felicità per il nostro sesso che al giorno d’oggi è molto più emancipato.
Le ultime pagine con i consigli della Woolf nei nostri confronti mi hanno fatto davvero battere il cuore, ci spinge a non perderci d’animo e a scrivere in modo sempre più schietto, senza limiti, e penso che se potesse leggere qualche romanzo di autrici contemporanee potrebbe essere fiera di noi.

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Lo consiglio a tutte le donne e anche agli uomini che sanno quanto vale il genere femminile.
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viducoli Opinione inserita da viducoli    24 Gennaio, 2017
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Lucidità di analisi e fascino poetico

Tra le mie infinite lacune letterarie una delle più clamorose, visto l’amore che porto alla letteratura del primo novecento, è data dal fatto che non ho ancora letto alcun romanzo di Virginia Woolf. Eppure i libri sono lì, in libreria: le opere principali acquistate sin da giovane da mia moglie, ed altri pochi volumi da me in anni recenti; prima o poi dovrò decidermi ad Per finire, ancora una volta non posso che lodare questa ormai scomparsa edizione Newton, che associa ad una ottima traduzione di Maura Del Serra una bella introduzione di Armanda Guiducci.affrontare questa imprescindibile autrice. Non so da cosa sia derivata questa sorta di indifferenza per Woolf: forse dal fatto che ho inizialmente concentrato gran parte della mia attenzione sull’area culturale che più mi affascinava da giovane, quella tedesca, e che delle altre ho per lungo tempo inseguito solo i nomi da me considerati maggiori, come Proust o Joyce; per riallacciarmi al contenuto di Una stanza tutta per sé, il motivo profondo può darsi che si possa rintracciare nel fatto che Woolf è una autrice, e che inconsciamente non considerassi la sua letteratura alla stregua di quelle dei grandissimi autori citati prima. È in ogni caso un dato che per lungo tempo l’unico scritto di Woolf nella mia libreria è stato proprio questo volumetto edito da Newton negli anni ‘90, e che ancora oggi non conosco praticamente nulla della scrittrice: che sia proprio io ad avere paura di Virginia Woolf?
Una stanza tutta per sé, pur non essendo un romanzo ma un Per finire, ancora una volta non posso che lodare questa ormai scomparsa edizione Newton, che associa ad una ottima traduzione di Maura Del Serra una bella introduzione di Armanda Guiducci.breve saggio, è tuttavia un’opera molto nota ed importante, anche perché ha rappresentato un testo chiave della (ri)scoperta di Virginia Woolf in chiave femminista, avvenuta negli anni ‘70. Si tratta della rielaborazione del contenuto di due conferenze che Woolf tenne nell’autunno del 1928 in due colleges femminili, sul tema le donne e il romanzo.
Dico subito che si tratta, a mio parere, di un testo splendido, da cui traspare la cultura e la profonda conoscenza della letteratura (in particolare britannica) che Virginia Woolf possedeva, la sua lucidità analitica, il suo stile e la sua capacità di fare letteratura anche in un contesto saggistico.
In poche decine di pagine infatti l’autrice traccia una storia della letteratura femminile inglese che, se è minima quanto a sviluppo quantitativo, è ricchissima di informazioni e spunti di riflessione, tanto da poter costituire anche un utile vademecum per la possibile scoperta di alcune autrici a noi (meglio, a me) sconosciute; analizza con taglio originalissimo, quasi da materialismo marxiano, le cause della mancanza di una vera letteratura femminile e della subalternità culturale della donna in un mondo al maschile; ci offre infine, a guida, corredo ed esemplificazione delle sue analisi, dei piccoli momenti di vita vissuta (o immaginata) che – rappresentando probabilmente un assaggio della sua capacità di scrittura – mi rendono impaziente di affrontarne i romanzi.
Il titolo del saggio deriva dalla tesi di fondo sostenuta da Woolf in merito alla possibilità per una donna di dedicarsi alla letteratura: perché questo accada è necessario che quella donna possieda del denaro che le permetta di vivere decentemente (l’autrice fa uPer finire, ancora una volta non posso che lodare questa ormai scomparsa edizione Newton, che associa ad una ottima traduzione di Maura Del Serra una bella introduzione di Armanda Guiducci.na cifra precisa: 500 sterline all’anno, cifra che il personaggio narrante che ci accompagna riceve grazie all’eredità di una zia) e uno spazio tutto per sé, una stanza dove poter giungere a quella concentrazione intellettuale necessaria alla creazione dell’opera d’arte senza essere continuamente interrotta dalle necessità familiari. Questa insistenza sulle condizioni materiali che devono sussistere per permettere la produzione letteraria, in questo caso femminile, è come detto uno dei tratti caratterizzanti il testo di cui stiamo parlando, e a mio avviso ne costituisce l’elemento di maggiore fascino intellettuale e di maggiore modernità.
Woolf infatti adotta questo metodo di analisi nell’insieme della piccola storia della letteratura britannica che costituisce la parte preponderante del saggio, non mancando comunque di accompagnarlo ad una analisi più psicologica del rapporto tra i sessi nella storia e nella società a lei contemporanea. Constatando la completa mancanza di donne autrici nell’Inghilterra elisabettiana, la fa risalire al fatto che all’epoca le donne, per quel poco che ne tramandano le cronache e ne confermano gli studi storici, erano completamente soggette alla volontà del patriarca, che stabiliva il loro destino sin dalla culla e non mancava di ricondurle alla ragione con mezzi spesso brutali in caso di ribellione. In un bellissimo inserto letterario e didattico, Woolf immagina che Shakespeare abbia avuto una sorella, Judith, come lui attratta dal teatro e dalla poesia. Cosa le sarebbe accaduto, quale sarebbe stata la sua vicenda? L’autrice ci racconta che, mentre il fratello veniva avviato agli studi, Judith sarebbe rimasta a casa e, adolescente, il padre le avrebbe scelto un marito. Quando Judith fosse scappata a Londra per recitare, come William, sarebbe stata considerata nello stesso ambiente teatrale poco meno di una pazza: probabilmente si sarebbe ritrovata incinta di un benefattore e l’unico epilogo possibile sarebbe stato il suicidio: ”si uccise, una notte d’inverno, e venne sepolta a un incrocio, là dove ora si fermano gli autobus, presso Elephant and Castle.” In questa breve, amara storia Woolf riassume un mondo, i cui tratti costitutivi sono confermanti anche dal fatto che le prime donne autrici britanniche, quando appaiono nel XVII secolo, sono aristocratiche senza figli, in genere considerate eccentriche dai mariti e dalla società, spesso relegate in case di campagna, che scrivono per hobby. Woolf ci introduce poi la figura di Aphra Behn, la prima romanziera inglese, che visse, anche se stentatamente ed emarginata, della sua letteratura alla fine del ‘600.
Una particolare attenzione, in questa piccola storia della letteratura al femminile, è dedicata alle scrittrici del primo ‘800, Jane Austen, le sorelle Brontë, George Eliot. In esse Woolf vede la nascita di una nuova epoca, seppure ancora limitata dal fatto che a queste autrici fosse comunque impedito di avere le stesse esperienze e la stessa indipendenza economica e sociale dei colleghi maschi, come pure di avere una stanza tutta per sé. Proprio a questo fatto, abbastanza curiosamente, Woolf attribuisce la scelta del romanzo come forma espressiva da parte di queste autrici: mentre la poesia richiede concentrazione assoluta, il romanzo meglio si adatta ad essere scritto nel soggiorno comune. Fra queste autrici, il favore di Woolf va a Jane Austen, che avrebbe creato un vero e proprio stile femminile di scrittura.
E’ significativo, per comprendere la portata complessiva che l’autrice attribuisce alla sua analisi, il fatto che ella riporti il testo di un esteso brano di Sir Arthur Quiller-Couch, il quale, partendo dalla constatazione che quasi tutti i grandi poeti degli ultimi secoli erano colti e benestanti, osserva che le condizioni materiali di vita sono il principale ostacolo allo sviluppo di talenti artistici tra le classi inferiori.
Se nel ‘900 una parte significativa delle limitazioni materiali che di fatto hanno impedito nel corso del tempo alle donne di esprimere il loro talento letterario sono state rimosse (mi sento di poter aggiungere almeno nelle classi elevate e medie di una società evoluta come quella britannica) resta il fatto che la società è ancora prevalentemente maschile nella sua organizzazione e nel suo sentire comune.
Apro a questo punto un inciso: può apparentemente fare abbastanza impressione leggere le considerazioni sulla donna ”intellettualmente, moralmente e fisicamente inferiore all’uomo” e altre dello stesso tenore che Woolf riporta da scritti dell’epoca o di poco precedenti, ma non dobbiamo mai dimenticare che ancora oggi, nel nostro paese, tesi simili, magari formalmente edulcorate, hanno ancora piena dignità politica.
L’autrice attribuisce il maschilismo (termine peraltro da lei non usato) della società direttamente all’esercizio del potere e alle sue implicazioni anche psicologiche: per poter legittimare il potere che esercita verso gli altri uomini, l’uomo ha necessità di sentirsi superiore ad almeno la metà dell’umanità, la metà femminile. Non manca un accenno alla misoginia che caratterizza in genere i detentori di potere assoluto, da Napoleone a Mussolini: al regime fascista viene dedicato un preciso spazio, per stigmatizzare, ridicolizzandola, la pretesa di creare un romanzo fascista propugnata da alcuni intellettuali nostrani dell’epoca.
Nella parte finale del saggio Woolf tratteggia quella che dovrebbe essere la nuova letteratura femminile, e la definisce come una letteratura androgina. Sarebbe infatti un errore creare una letteratura contrapposta a quella maschile dominante, che giocoforza avrebbe, specularmente, gli stessi difetti di questa (i suoi strali si scagliano in particolare contro Galsworthy e Kipling): la grande letteratura del passato è stata prodotta dagli autori che hanno fatto collaborare le due metà della personalità che si trovano in tutti noi, quella femminile e quella maschile: Shakespeare, Keats, Sterne, Cowper, Lamb e Coleridge erano androgini, nel senso che nelle loro opere si ritrovano sensibilità non solo prettamente maschili. Proust, da Woolf amatissimo, era fors’anche un po’ troppo donna. Le letterate, ma anche i letterati, del futuro dovranno, secondo Woolf, caratterizzarsi per questa androginia, per questa collaborazione tra elemento maschile e femminile. A questo proposito giova ricordare, per contestualizzare queste affermazioni, sia la storia personale dell’autrice, sia il fatto che Woolf aveva appena dato alle stampe Orlando, romanzo basato proprio sulla esplicitazione dell’androginia come forza creatrice dell’arte.
Come ho detto all’inizio, questo saggio, pur così analitico, non è l’arido atto di una conferenza, ma è guidato da un forte afflato letterario, che si esprime in alcuni bellissimi momenti narrativi. Woolf parla al suo uditorio per bocca di Mary Beton, Seton, Carmichael o come meglio credete, e all’inizio, per illustrare la condizione della donna, narra di una giornata di ottobre ad Oxbridge (la crasi è palese), dove le viene vietato di camminare in un prato (riservato a professori e studenti) e di entrare nella biblioteca universitaria, non essendo stata presentata da un uomo. Tutta la giornata di Mary è descritta con una grazia apparentemente leggera, ma nella quale ogni particolare percepito, ogni sensazione provata – come si addice ad una delle maestre del monologo interiore – assume un preciso significato per delineare un quadro complessivo, in questo caso di carattere culturale. In altri momenti seguiamo Mary al British Museum mentre consulta testi di storia sociale e della letteratura, ed infine, in quello che è il passo secondo me più bello ed anche significativo dal punto di vista letterario, l’idea della necessaria collaborazione tra maschile e femminile le viene osservando dalla finestra, in un momento di sospensione quasi magica del trambusto londinese, un uomo ed una donna che salgono su un taxi. Come all’adorato Marcel basta una sconnessione del lastricato per avere la certezza della necessità di scrivere la sua opera, a Mary/Virginia basta osservare due giovani che salgono insieme su un taxi per avere la certezza della necessità dell’androginia quale elemento fondante la letteratura.
Una stanza tutta per sé è un testo bellissimo, che non a caso ha rappresentato molto nell’evoluzione del pensiero femminista. E’ un testo in cui, al di là di alcune ingenuità, Woolf esprime la piena coscienza che sono le condizioni materiali di vita a determinare lo sviluppo delle facoltà intellettuali dell’individuo, e non viceversa, come ancora oggi a volte si tende a far credere. Se il sapore politico di questo saggio è quello che lo domina, non è però meno importante il suo spessore poetico, che lascia intravedere le grandi qualità letterarie della scrittrice regalandoci alcune pagine che sono delle autentiche chicche.

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Belmi Opinione inserita da Belmi    08 Settembre, 2016
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Le donne e il romanzo

Siete in una biblioteca e davanti a voi trovate un lungo corridoio, i volumi sono suddivisi per secoli, quanto dovrete camminare prima di trovare un romanzo scritto da una donna?

A Virginia Woolf, negli anni Venti, fu affidato un tema davvero particolare per due conferenze:

“Quando mi avete chiesto di parlare delle donne e il romanzo, mi sono seduta sulla riva di un fiume e ho cominciato a chiedermi cosa significassero queste parole”.

La Woolf tramite gli occhi della sua “protagonista”, fa riflettere il lettore sulla condizione della donna e su tutta quella parte di privilegi che gli sono sempre stati preclusi.

Ironica e schietta, sarà anche molto critica nei confronti del gentil sesso:

“Solo Jane Austen ed Emily Bronte l’hanno fatto. Questa è un’altra piuma, la più bella forse, sui loro capelli. Scrissero come scrivono le donne, non come scrivono gli uomini”.

In fondo ad una donna cosa serve per scrivere se non una rendita e una stanza tutta per sé? Una frase così semplice che nasconde un mondo dietro, fatto di lotte e di gran fatica per ottenerli.

Un saggio che consiglio, lo stile dell’autrice è intrigante, coinvolgente e superlativo, e non mancheranno le riflessioni e degli ottimi spunti di lettura. Per i più scettici ve ne lascio un “assaggio”:

“Il mio pensiero – per chiamarlo con un nome più altisonante di quanto meritasse – aveva gettato la lenza nella corrente. Ondeggiava, di minuto in minuto, qua e là, tra i riflessi e le erbe, lasciandosi sollevare e riaffondare nell’acqua, finché – conoscete quel piccolo strappo, quell’improvviso conglomerarsi di un’idea all’estremità della lenza; e poi la cauta manovra per raccoglierla, per estrarla? Ahimè, una volta sull’erba, come pareva piccolo e insignificante questo mio pensiero; quel tipo di pesce che il buon pescatore getta di nuovo in acqua perché possa crescere e meriti un giorno d’esser cotto e mangiato”.

Buona lettura!

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Giordana Opinione inserita da Giordana    04 Dicembre, 2015
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Liberarsi

Questo saggio di Virginia Woolf, pubblicato per la prima volta nel 1929, è il risultato di due conferenze tenute a Newnham e Girton l’anno precedente la sua stesura.
“Una stanza tutta per sé” è un grido di battaglia che attraversa il tempo e lo combatte, propagandosi con la voce di mille donne, di quelle donne abbandonate nello sfondo, lasciate ai margini, alle cornici della storia.
Fondamentale nella vita dell’uomo per la sua funzione, la donna ha sempre rappresentato lo specchio che ne accresceva la figura (e dunque la sua autostima e le sue potenzialità) spingendolo alla realizzazione di sé e delle sue grandi opere. Preziosa per l’arte degli uomini, è stata tanto elogiata (e tanto frequentemente oggetto d’interesse) tra le righe, nelle pagine di infinite opere, quanto privata della libertà, della parola, della scelta, della vita, nella realtà. Virginia, donna, scrittrice, protagonista letteraria del primo novecento, è il prodotto di questi secoli (per la donna bui, per la donna-poeta insostenibili) di repressione, di chiusura, di maschilismo; ha in sé la scintilla di una virtù che appare come nuova, ma che eppure è peculiare delle donne, di molte donne, che è la scintilla del coraggio. E’ passione, è determinazione, è consapevolezza della propria condizione e di quella delle sue coetanee in contrapposizione alle condizioni in cui si sarebbero trovate donne come Judith, sorella immaginaria di Shakespeare che vuole, come il fratello, vivere per l’arte, ma che per essa, al contrario, sarà portata a morire.
La Stephen (o la Woolf) è perfettamente consapevole del ruolo marginale della donna nella storia e degli effetti che tale esclusione ha avuto nell’arte delle scrittrici che prende in considerazione durante le sue ricerche volte a dar vita al tema “Le donne e il romanzo” (C. Brontë, E. Brontë, J. Austen) ed è in grado di farne un’analisi che non fa altro che dimostrare tutte le sue affermazioni e teorie. Tra queste ha grande importanza quella dell’”efficienza” e del valore, anche e soprattutto dal punto di vista artistico, dell’androginia, di una mente che sappia accogliere, per natura, i due opposti, che coesistono e creano armonia, equilibrio. La mente dell’artista dovrebbe essere una mente androgina, dunque, e una mente libera da turbamenti. “La mente dell’artista, per poter realizzare il prodigioso sforzo di liberare nella sua totalità l’opera che si trova in lui, deve essere incandescente, come deve essere stata la mente di Shakespeare, congetturavo, guardando le pagine di “Antonio e Cleopatra”. Non ci deve essere in essa alcun ostacolo, alcuna materia estranea che non sia interamente consumata.”
Insomma, si spazia dal discorso sull’arte della scrittura alla questione della condizione femminile per arrivare, infine, a quella che è l’arte delle donne.
Il saggio di Virginia, che inizialmente si interroga sull’”effetto della ricchezza sulla mente” e sull’”effetto della povertà sulla mente”, che pensa “com’è spiacevole rimanere chiusi fuori”, che pensa “alla sicurezza e alla prosperità di uno dei sessi e alla povertà e all’insicurezza dell’altro e all’effetto della tradizione e alla mancanza di tradizione nella mente dello scrittore”, è reso estremamente importante dalla sua forza, che è la forza degli argomenti, delle stesse parole, quella che lei elogia tanto e che troppo a lungo è stata repressa, sepolta nell’anima di troppe creature come una testa schiacciata sotto un cuscino.
“Chiudete a catenaccio le vostre biblioteche se volete; ma non potete mettere alcun cancello, alcun catenaccio, alcun lucchetto alla libertà del mio pensiero.”
Virginia esorta allora a lottare contro questa repressione, a dare speranza a Judith, a rivendicare i diritti e la libertà di donne come lei, a tentare di ottenere “cinquecento sterline l’anno e una stanza propria”, a vedere gli esseri umani “non sempre in relazione l’uno con l’altro bensì in relazione con la realtà”, ad accorgerci che “dobbiamo fare la nostra strada da sole” e che “dobbiamo essere in relazione con il mondo della realtà e non soltanto con il mondo degli uomini e delle donne” finché “finalmente si presenterà l’opportunità, e quella poetessa morta, che era sorella di Shakespeare, ritornerà al corpo del quale tante volte ormai ha dovuto spogliarsi. Attingendo la sua vita dalla vita di quelle sconosciute che l’hanno preceduta, come prima di lei fece suo fratello, nascerà la poetessa. […]
Ma io sostengo che ella arriverà, se lavoriamo per lei; e che lavorare così, sia pure nella povertà e nell’oscurità, vale la pena.”

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Francj88 Opinione inserita da Francj88    18 Settembre, 2015
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Intelletto androgino

In questo saggio Virginia Woolf si avvale della finzione narrativa per affrontare con ironia, ma senza mancare di profondità, il tema del rapporto tra le donne e la letteratura nel corso dei secoli. Secondo l’autrice alcune delle motivazioni che impedivano alle donne di dedicarsi alla letteratura erano di natura materiale: la mancanza di un reddito che garantisse loro indipendenza economica, un luogo appartato, “una stanza tutta per sé” (da qui il titolo del saggio) in cui dedicarsi completamente alla creazione artistica e l’impossibilità di accedere a molti luoghi (tra cui le biblioteche) A ciò vanno sommati i pregiudizi e le vessazioni da sempre subite.

Ciò che mi è piaciuto di questo saggio è che la Woolf offre un’analisi lucida e non di parte. Il suo non è un attacco senza esclusione di colpi contro un presunto “sesso cattivo” (cioè gli uomini), non scade mai nell’invettiva sterile, piuttosto attraverso l’esempio di Charlotte Brönte, ci fa capire come alcune grandi scrittrici del passato, nel tentativo di ribellarsi, anche se ancor timidamente, a quei valori dominanti in una società di tipo patriarcale, si trovassero a cedere a rancorose rivendicazioni che andavano a sminuire la grandezza artistica delle loro produzioni. Nel caso di Charlotte Brönte la Woolf afferma come in “Jane Eyre” l’autrice si perde in divagazioni sul tema della libertà della donna interrompendo in modo brusco il filo narrativo e andando a discapito dei personaggi. Invece Jane Austen (per la Woolf meno talentuosa di Charlotte) ed Emily Brönte costituiscono delle mirabili eccezioni, e la loro grandezza sta proprio nell’essere riuscite a evitare di restare vittime della loro stessa rabbia.

La scrittura di Virginia Woolf, se non si considerano alcuni elementi che per forza di cose appartengono al suo tempo, è assolutamente moderna e le sue intuizioni lungimiranti. Tolto il sipario tipico di inizio XX secolo, eccola che appare con guizzi formidabili, con pensieri che ci parlano come se fossero stati espressi oggi. Quando ci illustra la sua stanza, porta con sé una ventata di modernità, soprattutto quando parla dei due sessi fino a trasformarli in uno solo: l'intelletto androgino. Perché quando l'intelletto è grande, non conosce differenze.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    23 Agosto, 2015
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Era il 1928

Sarebbe soddisfatta la signora Woolf, nel leggere tante recensioni su “Una stanza tutta per sé”?
Si è scritto di tutto, con la pretesa di sviscerare un testo ostico e criptico in numerosi passaggi.

Addentrarsi nella trama intricatissima e complessa dello scritto, mantenendo lucidità ed equilibrio nella comprensione di tutti i cavilli intellettuali, sociologici, culturali, politici, etici e filosofici messi in campo dalla Woolf, è esercizio duro e stancante.
Il tema da trattare è materia succulenta per l'autrice, ossia le donne ed il romanzo, un binomio che scotta e che elaborato da una mano femminile nel 1928, diviene un'arma pungente per scavare negli ultimi secoli di storia letteraria e leggerne i risultati incrociandoli con l'evoluzione sociale.
Disseminati tra le righe sono tanti gli illustri colleghi citati, uomini e donne, poeti, narratori, pensatori, le cui figure sono riportate alla luce, mentre Virginia accarezza i polverosi volumi di una libreria immaginaria.

E' un viaggio difficile quello intrapreso dall'autrice inglese, condotto con la sua penna indomita e sfuggente, che adotta il flusso di coscienza anche in questa stesura pur non appartenendo al genere romanzo; un flusso che diviene volo pindarico, spingendo il lettore a improvvisi e continui cambi di direzione per arrivare alla metà prefissa.

Se il fulcro vuole essere l'analisi del percorso femminile nel mondo letterario, la Woolf allarga il focus come una ragnatela, entrando nel costume sociale e nell'analisi minuta dello scrivere al maschile e dello scrivere al femminile.
Le riflessioni sono serrate ed il ritmo vorticoso, mal adattandosi a chi prediliga semplicità espressiva e luce sul cammino da percorrere.
Impossibile non riconoscere un eccelso lavoro a livello compositivo, lontano da talune semplicistiche etichette di “lavoro pregno di ironia”.

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riccardo.mainetti.40 Opinione inserita da riccardo.mainetti.40    27 Marzo, 2014
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La metafora dell'indipendenza

Ultimamente sto rileggendo "Una stanza tutta per sé" di Virginia Woolf. Avevo letto questo breve libro della Woolf sul finire dell'anno passato ma, lo devo ammettere, rileggendolo sto cogliendo dei significati che alla prima lettura mi erano sfuggiti, o che comunque non avevo valutato nel modo che ora ritengo corretto.
Invitata a tenere una conferenza sul tema "La donne e il romanzo" la Woolf fa un discorso più ampio che arriva a toccare il tema della condizione della donna, specie di quelle donne che, contravvenendo a quello che all'epoca era considerato quasi un "dogma" che prevedeva la frequentazione degli "ambienti culturali" come esclusivo terreno appannaggio del "sesso forte", volessero, anzi osassero, sperare di entrare, a buon titolo, nel mondo della Cultura.
Trattando questo argomento l'autrice-oratrice arriva a sostenere che una donna che voglia avventurarsi nel campo letterario deve possedere "una rendita e una stanza tutta per sé". Con queste poche parole la Woolf spiega già alla perfezione quello che era lo svantaggio delle donne in questo campo. O meglio gli svantaggi. Ovvero quello di non poter gestire una somma sufficiente di denaro, tutto, o comunque in buona parte, proveniente dal lavoro del coniuge e il fatto di non poter disporre della famosa "stanza tutta per sé", quella stanza che permetta ad una donna di potersi rinchiudere a scrivere. Avete presente la scena del film "Shining" di Stanley Kubrick nel quale Jack Torrance rimprovera la moglie, la piagnucolosa "Wendy, tesoro, luce della mia vita", che è arrivata nella sala nella quale lui era intento a portire il suo romanzo, che poi si scopre essere una continua ripetizione all'infinito dell'unica frase "Il mattino ha l'oro in bocca", dicendole "ogni volta che io sono qui vuol dire che sto lavorando e quindi sei pregata di non disturbarmi"?
Ecco!
Una donna dell'epoca della Woolf o anche di un'epoca precedente, questa frase non avrebbe mai potuto dirla in quanto ai quei tempi le donne, se volevano scrivere, dovevano farlo in cucina tra gli schiamazzi e i capricci dei figli, le voci delle altre persone di casa, genitori, nonni e suoceri e il continuo disturbo dei vicini.
Quindi emerge evidente il fatto che dietro "la rendita di denaro e la stanza tutta per sé" si cela la necessità per la donna che voglia darsi alla creazione letteraria di una libertà a doppio senso; sia in senso economico (la rendita che le permetta di far fronte ai bisogni immediati e primari) e in senso lato, intesa come indipendenza (la stanza tutta per sé nella quale, come si è detto poc'anzi, potersi chiudere a scrivere). Concetti addirittura rivoluzionari specie per una società ed una mentalità come quelle in voga fino a dopo la metà, anzi fino all'ultimo quarto, del secolo scorso.

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Non stancatevi mai di rileggere "Una stanza tutta per sé" perchè è un libro che fa emergere nuovi particolari ad ogni lettura.
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LunaCalante Opinione inserita da LunaCalante    14 Marzo, 2014
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Quando un libro diventa squisitezza letteraria

Avevo letto di Virginia Woolf "Gita al faro" accoppiato con il libro che sto per recensire "Una stanza tutta per sé".

Questa coppia di libri mi è stata prestata una settimana fa e d'impulso,per la recensione, scelgo il libro della stanza perché ha i suoi buoni motivi.

Non si capisce subito ma il libro in realtà è un piccolo saggio , sulla condizione letteraria e artistica delle donne di un certo periodo di tempo, astruso e recalcitrante verso il genere femminile.

E' un saggio che ripercorre le vicissitudini di donne inclini al campo della scienza e della letteratura.
Vi basti sapere che venivano trattate al pari delle streghe, eretiche o pazze.

Una donna con una penna in mano, secondo il pensiero maschile dell'epoca, è un totale disastro, un pericolo vivente.Tale affermazione la troviamo anche oggi, ma al posto del libro, i maschilisti dell'epoca moderna, ci hanno messo la macchina.

E' un libro di stampo femminista, ma non di quel femminismo estremo ed esagerato.
Elenca e sottolinea tutti i torti fatti alle donne con il dono della scrittura, dell'arte, della scienza e della poesia.

Virginia Woolf ha un modo di narrare piuttosto raro e squisito, la si legge a bocca aperta.
E' un saggio piuttosto pesante ma si fa leggere.
Alcuni passi sono noiosi o pesanti ma è una scusa debole per bocciare il libro.

Virginia , oltre che il dono della scrittura, aveva anche quello dell'intelligenza. Un'intelligenza rara e acuta, capace di penetrare a fondo la mente di una persona,sia femminile che maschile.
Una donna piuttosto mascolina e autoritaria, nata secondo me in un'epoca sbagliata dove le donne venivano guardate come a delle creature prive d'intelligenza, nate soltanto per procreare e tenere acceso il focolare, compresa la lucidatura degli stivali del marito.

Finito il libro ho avuto un certo senso di amarezza. Si perché dovete sapere che Virginia si è suicidata.

Mi chiedo: Perché una perla del genere si è gettata nel fondo del mare?

Concludendo ve lo consiglio, magari è utile per una tesi di laurea, un tema sulle donne dell'epoca per le superiori o semplicemente per leggere e basta.





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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    24 Settembre, 2013
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A room of one’s own

Attraverso questo libro Virginia Woolf ci ha presentato il primo suo intervento sul tema “donne e scrittura”.
Leggendo questo testo il lettore si trova immerso in un trattato pieno di ironia e satira che parla maggiormente su quanto sia stato difficile per una donna affermarsi come scrittrice.
Se si va indietro nel tempo infatti si possono contare sulle dita le autrici di successo, molte di queste per avere fama e rispetto dovettero anche adottare uno pseudonimo maschile.
La Woolf mette tutte le sue forze per fare spazio nella società alle donne che molto spesso venivano considerate troppo carine per poter avere un posto di prestigio in una società patriarcale.
In questo piccolo saggio ha trascritto alcune delle conferenze che tenne presso i vari istituti femminili inglesi, partendo dalla figura della donna e da come veniva considerata con l’andare dei secoli.
La domanda che molto spesso Virginia si pone è proprio questa: “Perché se una donna voleva intraprendere una carriera nell’arte o nella scrittura veniva derisa da tutti?”.
Mi sento di consigliare questo testo a tutti perché fa ragionare il lettore sulla disparità dei sessi e sulle differenze che ci sono tra uomini e donne.
Inoltre alla fine da un grande incoraggiamento alle giovani donne e ci fa capire come siamo riuscite ad arrivare fino ad oggi ed inoltre che dobbiamo lottare sempre per avere un futuro migliore.

Buona lettura!

“Sprangate le vostre biblioteche, se volete, ma non potrete mettere alcun cancello, alcuna catena, alcun lucchetto alla mia libertà mentale”.

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Musica Opinione inserita da Musica    18 Luglio, 2012
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Un coinvolgente saggio romanzato

Quando il carattere illuminato di una critica neutrale e ben fatta assume le sembianze di un saggio letterario, firmato per giunta Virginia Woolf, ecco nascere Una stanza tutta per sé.
Il tempo scorre, scivola tra gli istanti così come tra i secoli, ma la coscienza alla base di quella che è la verità è una sola, soltanto una. Ed è la stessa. E' la realtà.
E non c'è tempo con la sua tirannia che tenga; non c'è convinzione o convenzione che possa alterare gli effetti e soprattutto la genesi di questa realtà. La sua verità è una sola, una soltanto. E potranno essere infinite le sue interpretazioni, ma queste non faranno della verità stessa qualcosa di lontano da se stessa e dalla sua "integrità".
Piuttosto, al massimo, la coloreranno e la coloriranno; la modernizzeranno o ne faranno miriadi di fili di una ragnatela conformista e stantìa che con la sua polvere farà paura ai posteri che vi si imbatteranno.
Oppure ne faranno un ispirato saggio letterario.
Per questo, benchè personale possa sempre essere il parere individuale; benchè in questo caso si tratti di una donna che tratta l'argomento 'donne'; e benché il giudizio di una donna nei confronti delle donne possa raramente risultare non-fazioso, e per esser giusto dovrebbe anche esularsi dall'essere eccessivamente accondiscentente – altrimenti non si tratterebbe più di un giudizio, ma di un elogio pro parte -; per tutto questo, ed in primis per il valido e valoroso obiettivo di valutare la realtà super partes con intenzioni umane ed uno stile squisitamente romanzato, vale la pena leggere l'opinione analitica ed ispirata della coscienziosa scrittrice che è Virginia Woolf ed imbattersi nella sua modernissima – e modernista - forma mentis.

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