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Raccontare il male
Porto di Napoli. Un container sospeso a mezz'aria da una gru. Difetto di fabbricazione, o distrazione umana, o qualsiasi altro fattore imponderabile: uno sportello si apre, e grandinano giù cadaveri. Teste che si spaccano sull'asfalto. Ossa che si rompono. Corpi congelati che piovono dall'alto come chicchi di grandine, ma grossi come oblunghe meteoriti.
I cinesi che non muoiono mai: quel giorno (invece di sparire anonimamente dalla circolazione e riapparire salme nel paese di provenienza) si spappolano su una banchina portuale. Il gioco di prestigio è finito: scoperto il trucco. Trucco miserabile come tutto ciò che riguarda la criminalità organizzata. Che ha un solo scopo: accumulare soldi e potere sulla pelle di altri.
Avere ventisette anni. Infiltrarsi nei gradi più bassi della manovalanza criminale, per osservare con i propri occhi, per la necessità di capire. E poter semplicemente descrivere ciò che si è visto.
Non stupisce che “Gomorra”, tra i libri di impegno civile pubblicati in Italia negli ultimi decenni, sia diventato quello più venduto, più letto, più citato, più tradotto, più copiato.
Ha tra l'altro documentato la vergogna della “terra dei fuochi”, con grande anticipo rispetto a tante indagini successive (in parte le ha addirittura ispirate). Ha persino spiegato il perché di qualcosa che sembra essere fuori da ogni logica umana: “I boss non hanno avuto alcun tipo di remora a foderare di veleni i propri paesi, a lasciar marcire le terre che circoscrivono le proprie ville e i propri domini. La vita di un boss è breve, il potere di un clan tra faide, arresti, massacri ed ergastoli non può durare a lungo. Ingolfare di rifiuti tossici un territorio, circoscrivere i propri paesi di catene montuose di veleni può risultare un problema solo per chi possiede una dimensione di potere a lungo termine e con responsabilità sociale. Nel tempo immediato dell'affare c'è invece solo il margine di profitto elevato e nessuna controindicazione”. C'è una “logica dell'immediato”, nulla da dire... che però sulla lunga distanza non può che far pensare a come la banalità del male si sia evoluta: è ormai diventata la stupidità del male.
Quante volte abbiamo pensato (o magari dubitato) che un libro può cambiare le cose?
Roberto Saviano, pubblicando nel 2005 il suo primo saggio, ci riesce: la pubblica opinione inizia ad interessarsi di qualcosa di cui non sapeva nulla; lo Stato si mette alle calcagna di uno spietato clan camorristico – quello dei Casalesi (l'equivalente dei Corleonesi per la mafia, o dei Pesce per la 'ndrangheta) – e lo demolisce, smontandolo pezzo per pezzo. Perché lo Stato è più forte dei Casalesi? No, lo Stato non è più forte: non può esserlo perché è anche lo Stato dei Totò Cuffaro e dei Bruno Contrada (in attesa di una parola definitiva su personaggi come Nicola Cosentino o sui sospettati di aver condotto da protagonisti la trattativa con la mafia).
E' la legge ad essere più forte di qualunque organizzazione criminale. Solo quella.
E la legge non ha altra sostanza che la civiltà ed altra forma che la parola. Stessa sostanza e forma di cui, nei casi migliori, risulta essere fatto un libro...
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