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Apologia di Socrate
 
Apologia di Socrate 2013-11-28 04:06:42 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    28 Novembre, 2013
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Ricordi, la nascita di un amore

Avevo sedici anni, tanti sogni e ideali per la testa, sentimenti vivi che si agitavano nel cuore. Frequentavo la prima liceo classico. Durante le vacanze di Natale ci fu assegnata la lettura dell’apologia di Socrate, scritta da Platone.
Lessi l’opera in un pomeriggio. Nevicava. In un’atmosfera liliale ebbi il mio primo contatto diretto con la filosofia, quello con la “storia della filosofia” era avvenuto nei tre mesi antecedenti.

Fui folgorato dalla figura del filosofo settantenne (“E’ la prima volta questa, vecchio come sono di compiuti settanta anni, che salgo i gradini di un tribunale”), che non lasciò alcuno scritto e che fece della consapevolezza dell’ignoranza una straordinaria forma di sapienza (“la Pizia rispose che più sapiente di me non c’era nessuno”), dopo aver cercato invano la saggezza tra politici, poeti e artisti.
Mi fece tenerezza sentirlo parlare per bocca dell’allievo Platone, fui incantato dalla forza con la quale Socrate articolò la sua difesa nei confronti dei tre rozzi accusatori (Meleto, Anito e Licone), percepii il senso dell’ingiustizia (che si sarebbe ripresentato negli anni a venire di fronte a ogni vittima dell’ignoranza e dell’intolleranza) nel sentirlo imputato di corruzione della gioventù e di spregio della religione ufficiale (“Socrate è reo, e si dà da fare in cose che non gli spettano: investigando quel che c’è sottoterra e quello che c’è in cielo; tentando di far apparire migliore la ragione peggiore; e questo medesimo insegnando ad altri”). Ne ammirai la fierezza (“Ho anch’io famiglia e figlioli… eppure io nessuno ve ne ho condotto qui per muovere la commiserazione vostra ad assolvermi”) anche nella scelta della pena (rifiutò l’esilio, preferì la morte), fui assalito dalla rabbia per la condanna ingiusta e risicata (“io non immaginavo che ci sarebbe stata una differenza così piccola”) che gli fu inflitta. Fui rapito dalla conclusione dell’apologia: “Ma ecco che è l’ora di andare: io a morire e voi a vivere. Chi di noi due vada verso il meglio è oscuro a tutti, fuori che a Dio”.

Oggi ho riletto quest’opera, perché i primi amori ritornano, a volte prepotentemente, cavalcando le onde della nostalgia che monta sotto il vento sferzante delle idee. Anche oggi nevica, come allora. Ed è la prima neve dell’inverno.

Bruno Elpis

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
... romanzi storici. Brevi saggi filosofici
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Commenti

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mia77
14 Dicembre, 2013
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Questo è stato anche uno dei miei amori di adolescente. Dalle quindici di oggi pomeriggio sono immersa nella lettura delle recensioni di molti qlibristi ( o equilibristi?), molto attenta ed aperta all'arrichimento che ognuna mi può dare. Tra le tue recensioni, questa è quella che ho preferito, perchè è scritta con il cuore e non con la mente. Bella! Se già non adorassi questo saggio, lo adorerei dopo averne letto il tuo pensiero a riguardo.
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