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Emerson: il realismo della gioia, oltre il nichili
A volte, quando si legge un autore, succede che tutte le idee che ci eravamo fatti su di lui, tutti gli stereotipi, d’improvviso cadano non appena si legga qualche pagina del suo testo. Quando ho preso in mano “Realizzare la vita” di Emerson (Il Prato, 2007), immaginavo di trovare gli scritti del leader del trascendentalismo, del mistico un po’ new age della Superanima e di chissà quali altre vagheggiate “anime universali”, un etereo e un po’ svampito filosofo naturalista. Mi sono dovuto ricredere. Non sono riuscito a trovare quasi nulla di tutto questo. In questi otto saggi pubblicati per la prima volta nel 1870, chi non sia digiuno di filosofia si trova spesso come catapultato già nel grande pensiero del ventesimo secolo. In questa, che è una vera perla editoriale, ci viene offerto un pensiero che fa i conti con i problemi fondamentali dell’occidente, tanto da evocare immediatamente i nomi di Nietzsche (che amò Emerson alla follia) e anche Heidegger (che forse non lo lesse, perché aborriva quasi tutti gli anglofoni, ma che è sorprendentemente emersoniano). Emerson si rivela un colosso del pensiero e della letteratura. La sua lingua non ha nulla dell’oscura lingua heideggeriana; e la sua penna si fa beffe dell’America del suo e del nostro tempo, con la sua smania di successo effimero e con il parossismo dell’agire strumentale e utilitaristico. Ma Emerson resta anche un protopragmatista: non disdegna l’uso, ma distingue il basso e l’alto uso delle cose. E analizza la sua America anche nelle sue paure, come nel suo saggio, sempreverde e ormai classico, “Coraggio”. Questo libro è un viaggio lungo la vita quotidiana della civiltà occidentale, sempre sulla soglia della barbarie, ma in direzione di un’esistenza piena. Nel contempo si è costretti a volgersi verso le vette del filosofare, come quando Emerson discure il problema abissale della tecnica, del fare e del tempo, nel saggio cruciale di questa raccolta: “Le opere e i giorni”. Questa raccolta è una bella impresa tentata da Emerson per superare la soglia del nichilismo, verso una libertà che non è né libertinaggio né misticismo né idealismo, ma lo scriversi della vita nel viaggio, nella storia e nel tempo ininterrotti, e con ciò l’estendersi di ogni orizzonte vitale.