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Sicurezza in cambio di felicità?
E'imbarazzante esprimere un parere personale di un saggio freudiano, considerato che il pensiero dell'autore si colloca, a prescindere dai diversi punti di vista e dalle correnti di pensiero attuali che ne constituiscono lo sviluppo, come uno dei fatti fondanti la cultura occidentale contemporanea, ovvero il modo di pensare e di vivere di noi tutti.
"Il disagio della civiltà" viene pubblicato nel 1930 e rappresenta una delle opera della maturità di Freud. Anche per questa ragione il volume rappresenta una testimonianza della concezione del mondo freudiana, resa possibile da una ormai avanzata assimilazione dei concetti psicoanalitici, adesso applicati per interpretare il cambiamento sociale e culturale in atto tra fine Ottocento e Novecento.
Il disagio della civiltà rappresenta il prezzo pagato dall'Occidente moderno e civilizzato che, se da un lato è riuscito a contenere la pulsione di morte e quindi riesce a garantire meglio l'ordine sociale, è del resto sempre più esposto al senso di colpa e di fatto ha barattato, una volta per tutte, sicurezza in cambio di libertà di espressione personale e quindi di felicità.
Il punto di vista è, evidentemente, interessante e ancora oggi attuale.
Solo una domanda sorge inquietante: gli anni della pubblicazione del libro sono gli anni Trenta, quindi gli anni dei grandi totalitarismi dell'Europa, preludio alla catastrofe di una nuova guerra e alle persecuzione etniche e razziali. Forse che la diagnosi di Freud sia troppo ottimistica? non è che forse la "civiltà" del Novecento, oltre a contenere i germi della più spietata violenza e follia omicida, abbia anche tolto le speranze, le utopie e il desiderio di creatività ed espressione del genere umano?