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Il desiderio impossibile della scrittura
Eros, ci avverte Saffo, è dolceamaro. L’amante, dirà qualche secolo dopo Catullo, odia e ama e in questo dissidio si tortura. Don Giovanni, chiosa la musica di Mozart e commenta Kierkegaard, vive solo fin quando il suo desiderio resta inespresso. E infine, ci ricorda Calvino, che il desiderio più sincero è quello per un cavaliere inesistente, per un vuoto a perdere. Questo di Anne Carson è un saggio non sull’Eros amore, ma sull’Eros desiderio, l’Eros che è mancanza e differenza, l’Eros che è sguardo rivolto all’altro che non ci appartiene e che proprio quando ci appartiene cessiamo di desiderare. Eros, desiderio impercettibile, atroce felicità ed estenuante languore.
Trascinati da questo vortice di riferimenti letterari, spesso in triplice traduzione greca/latina-inglese-italiana, dolcemente adagiata nelle pieghe di seta di una cultura sinuosamente seducente, quasi ci illudiamo di scorgere il senso di questo volume in una colta rassegna di esperienze del desiderio. Eppure è qui che il saggio di Anne Carson compie uno scarto improvviso suggerendoci che in fondo Eros nasce quando nasce la lirica, quando i primi poeti greci lasciano tracce di sé nell’alfabeto e non nella pura voce. L’epica, ci suggerisce la Carson, conosce l’amore ma non l’Eros. Perché Eros non sta nel frasi, ma nelle parole, non sta nel travolgente fluire dell’epos, ma nel segreto e privato incanto di un singolo logos. È quando i greci scoprono le consonanti (suoni impossibili da pronunciare da soli) e le articolano con le parole, quando cioè viene alla non il primo, ma certo il più vario e armonioso alfabeto dell’antichità, che può svilupparsi la scrittura come oggi la intendiamo, che può nascere la poesia lirica che è per definizione meditazione sull’Io: solo la parola scritta può essere intermediaria di questo sguardo rivolto verso l’interno. La società della comunicazione orale non desidera come desidera la società della scrittura: non è più l’udito a governare i rapporti, ma la vista e Eros abita questa svolta, abita la differenza tra la realtà esteriore e il nostro spazio interiore, quello che solo la scrittura sa dire. E se dunque Eros abita la scrittura, il poeta ne è la voce: nel vuoto incolmabile del suo desiderio, nella distanza insanabile tra la sua ispirazione e la parola creata, l’uomo avverte le risonanze del suo Paradiso perduto: più Tantalo, che Adamo, l’uomo dell’Eros non può afferrare quello che desidera, perché questo desiderio lo consuma prima di poter essere anche solo sfiorato.
In questa suggestiva analogia tra Eros e scrittura, ispirazione poetica e alfabeto, nella dissoluzione che sempre minaccia la completezza dell’Amore, sta tutta l’ossimorica aporia del desiderio e il fascino magnetico di questo saggio di fronte alle cui tesi possiamo forse dissentire, ma non certo restare indifferenti. Perché si avverte in certi passaggi la forza inoppugnabili di quelle intuizioni subitanee che ho trovato altrove solo nella densa prosa di Simone Weil. Anne Carson non è Simone Weil, ma certo il suo Eros dolcemaro non sfigurerebbe in quel testo capitale che è "La rivelazione greca".
Un plauso ancora alla casa editrice Utopia che ha portato questo saggio in libreria dopo decenni di ingiusta assenza e che sta costruendo un catalogo di rara raffinatezza.
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