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Homo Deus
 
Homo Deus 2022-02-06 10:26:44 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    06 Febbraio, 2022
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La storia del nostro futuro

Harari nel suo libro precedente (Da animali a dei) si era preposto lo scopo di raccontare come e perché l’Homo sapiens, bestia tra le altre bestie, un debole mammifero indifeso, chiuso in una angusta nicchia ecologica, raccontandosi storie (i miti) e cercando di farle rivenire realtà, avesse preso a salire la scala dell’evoluzione giungendo a distinguersi da tutte le altre specie viventi; divenendo, così, l’unica in grado di influire in modo drammaticamente efficace sullo stesso pianeta.
In questa nuova fatica l’A. vuole esplorare quali potrebbero essere gli obiettivi dell’Umanità nel futuro. La premessa da cui si parte per la trattazione è quella secondo la quale l’Uomo già oggi avrebbe se non sconfitto, almeno reso evitabili, eludibili (o, forse, più correttamente, gestibili e rimediabili) i tre principali flagelli che l’hanno afflitto per millenni: carestie, pestilenze e guerre.
Questa affermazione a un primo acchito appare un po’ troppo drastica: ma come, e dove lo mettiamo il miliardo e più di esseri umani che vivono al di sotto dei limiti di sopravvivenza? E le guerre che ogni giorno insanguinano il Mondo? E le malattie (il libro è stato scritto prima che l’Umanità fosse messa in ginocchio dal Covid, ma l’obiezione poteva valere pure prima, per Ebola, Aviaria o simili)? Giustamente l’A. ribatte che, oggi, questi flagelli sono causati da errori o stupidità umana e non dall’inevitabilità degli stessi. Del resto, pure l’attuale pandemia è stata affrontata con una rapidità e efficienza impensabili solo cento anni fa. In generale sino ad un recentissimo passato ci trovavamo in un sistema a somma zero, dove l’arricchimento di qualcuno comportava l’impoverimento di altri, da qui la sostanziale fonte primaria di quei flagelli. Ma adesso siamo in grado di creare costantemente ricchezza e, di conseguenza, per ogni insuccesso dobbiamo solo prendercela con noi stessi.
Quindi, ormai, ci si sarebbe spazio per nuovi traguardi. I tre ambiziosissimi obiettivi sarebbero l’immortalità (o, meglio, l’a-mortalità, cioè la possibilità di prolungare la vita in modo indefinito), la felicità (perpetua?) e il diventare come gli dei, nel senso di acquisire, come gli dei della mitologia classica, poteri e capacità che mai l’evoluzione biologica potrebbe sviluppare in modo spontaneo, neppure in milioni di anni.
Anche queste affermazioni prestano il fianco a obiezioni tutt’altro che peregrine. L’a-mortalita sarebbe un traguardo raggiungibile solo per una ristrettissima cerchia di individui, in grado di potersi economicamente permettere le costosissime cure per il prolungamento dell’efficienza e salute del proprio corpo, allargando così in modo drastico la forbice tra l’empireo degli individui privilegiati e la grande massa di quelli che ne restano fuori. La felicità, dal punto di vista fisiologico, è solamente una condizione provvisoria e dipende unicamente dal momentaneo soddisfacimento del bisogno immediato, perciò le sensazioni piacevoli perpetue possono (forse?) essere raggiunte solo con un l’ausilio di sostanze psicotrope che altererebbero la nostra stessa percezione. Saremo, quindi destinati a subire il costante uso di “farmaci” biochimici? Quanto ai poteri “divini”, cioè a quelle capacità che gli antichi attribuivano solo ai numi, tutto sta ad intendere quali siano questi poteri e se, per raggiungerli non si sia costretti a delegare funzioni e attività a sistemi, o macchine, più efficienti del nostro corpo biologico, facendo perdere ad esso e a noi stessi, molte delle sue utilità.
Dato quanto sopra ci si domanda se questi siano obiettivi raggiungibili e, soprattutto, se ciò sia auspicabile e non nasconda un rischio di fondo per l’Umanità nel suo complesso; rischio ben più grave dei vantaggi promessi. In particolare questa analisi porta l’A. a domandarsi cosa sia effettivamente la mente, se siamo realmente autocoscienti, se il cosiddetto “libero arbitrio” su cui si basano tutte le odierne ideologie umanistiche che hanno soppiantato, di fatto le religioni, sia reale o non, piuttosto, che gli uomini agiscano solo in base ad algoritmi, a procedure, né più e né meno di una macchina ben programmata. Anzi che l’essere vivente stesso non sia che un algoritmo e che, in quanto tale, sia sostituibile con qualcosa di più efficiente. E ciò riguarderebbe non solo le attività materiali, ma pure le professioni umanistiche, scientifiche e intellettuali che diverrebbero surrogabili con algoritmi più efficienti ed efficaci. Del resto i primi scalini di questa scalata verso un futuro, che potrebbe portare a un mondo in cui l’Uomo diventerebbe un accessorio, anzi un orpello, non sempre utile e, talvolta, pure fastidioso e inopportuno, li abbiamo già percorsi e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Proprio su questi assunti nella sezione finale ci si domanda se l’esistenza stessa dell’uomo non sia minacciata dagli strumenti che va via via perfezionando: intelligenze artificiali che, pur non essendo dotate di coscienza, funzionano meglio degli esseri biologici e che stanno, già ora, soppiantando l’Homo sapiens in molteplici funzioni. Interessante, poi, la conclusione, dove si prevede che all’umanesimo (nelle sue visioni liberale, socialista e evoluzionista) succeda il potenziale dualismo/scontro tra le due tecno-religioni del futuro: il tecno-umanesimo (cioè quella spinta a potenziare la mente umana per garantirci l’accesso a esperienze sconosciute e a stati di coscienza oggi non familiari) e la religione dei dati (il datismo che considera l’universo solo come un flusso di dati che, già ora, l’Uomo fatica a elaborare e che, in futuro, saranno gestiti solo da entità non biologiche).
Come al solito l’A. riesce ad avvincere e, se non (sempre) a convincere, almeno a impressionare il lettore. Da storico quale è, non si concede voli pindarici né parte con previsioni funamboliche, ma basa tutti i suoi ragionamenti, ripeto più o meno condivisibili, su solide basi, fatte da dati statistici, da rilevazioni accuratamente ponderate, da fatti documentati, da scoperte e argomentazioni scientifiche serie. Tuttavia, molto più che nell’opera precedente, sembra di percepire forzature, di temere che da esempi concreti e documentati, ma isolati, si tenti di estrapolare una regola o quantomeno una tendenza per il futuro. Insomma c’è il serio timore che l’A. ci stia mostrando un abile gioco di prestigio che ci lascia stupiti per l’effetto, ma che ci lascia dubbiosi nella sostanza. A volte, poi, ci sono considerazioni che, forse, eccedono in una visione banalmente qualunquista del fenomeno; che il ragionamento freddamente scientifico faccia spazio al luogo comune; che si ecceda nelle semplificazioni e, talvolta, si cada preda di un certo sensazionalismo, magari pure in un allarmismo ingiustificato.
Comunque è un libro che vale la pena di leggere, se non altro per stimolare riflessioni e ingenerare discussioni che non possono che accrescere la nostra consapevolezza del mondo che ci circonda e di noi stessi.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
...il precedente volume della trilogia: "Da animali a dei"
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