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Il Daimon è una coscienza signorile
Per parlarvi di questo libro di James Hillman mi piace partire dalla mia esperienza personale. Per tutti gli anni della scuola superiore ero convinto che avrei studiato filosofia all’università o, al massimo, mi sarei dedicato alle lettere classiche. Avevo categoricamente escluso sia medicina sia giurisprudenza, che sentivo distanti dal mio mondo. Eppure poco prima del diploma, quasi per caso, l’idea di studiare medicina mi ha colpito di sorpresa, imperscrutabile nelle sue profonde motivazioni, ma al contempo perentoria e decisa. Anche se questo ha significato sacrificare molto dello studio che ho sempre amato, ripartire da capo dopo aver letto libri su libri di filosofia e studiato tedesco per essere poi pronto. Partire anzi ancora più indietro, da parte di chi aveva tanta biologia e chimica da recuperare.
Ecco parto da qui perché il libro di Hillman tenta proprio di spiegare queste vocazioni improvvise, questi desideri inappellabili, quello che in noi è più forte di noi. Sulla scia di un certo platonismo jünghiano, Hillman teorizza che a fianco di ogni persona si trovi un Daimon, uno spirito guida, una vocazione incoercibile, una ghianda come spesso la chiama, che segna il destino di ognuno. Il Daimon è uno spirito celeste, ci chiama e convoca da un altro mondo, da uno spazio di là da noi, è una coscienza signorile, ha il piglio del dittatore e non ammette repliche: anche quando tentiamo di allontanarci, eccolo rispuntare fuori, catapultati in traumi o episodi che ci costringono a riabbracciarlo. Il Daimon non ci lascia soli, ma al contempo ci condanna alla sua ricerca. Per sostenere la sua tesi, Hillman passa in rassegna la vita di illustri personaggi: da Judy Garland a James Baldwin, passando per Hitler e una folta serie di serial killer. Sono storie di vocazioni precoci, di segni male interpretati: di incontri con libri che hanno cambiato una vita, di insegnanti miracolose, di morti tracciate nella sabbia del tempo. Sorprende la violenza con cui il Daimon può manifestarsi, perché il Daimon vuole solo se stesso, anche se questo ha il segno di un distruttivo cupio dissolvi. È la storia della Garland, finita tra alcol e barbiturici, la parabola discendente di una bambina che fin dai 3-4 anni era in grado di ballare, recitare, cantare, intrattenendo decine di persone. È la storia di Hannah Arendt e del suo incontro con Heidegger, la storia di Woody Allen, Richard Nixon e Truman Capote e dei loro incontri con la propria intima e violenta inclinazione.
Si può e anzi forse di deve non concordare ogni volta, specie quando il libro attinge con troppa serenità a eccentriche teorie freudiane, eppure ci aiuta a definire il vuoto che la psicologia non si è dimostrata in grado di colmare, ovvero spiegare le origini delle più profonde motivazioni dell’individuo. Hillman le trova nella pianura delle anime del mito di Er e crea la sua personale cosmologia, trascinandoci con insospettabile piacevolezza e fluidità in una lettura che si dimostra sempre accessibile e alla portata di ogni lettore. E chissà che qualcuno, leggendo il libro, non si interroghi sulle apparizioni del Daimon nella sua vita. Io, forse, ho incontrato il mio.
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anzi forse ben tornato. Ho ricordi di tuoi commenti già diverso tempo fa, sono stato via per un po'. Riprova, a me è scorso molto bene, probabilmente bisogna calarlo molto nella propria vita.
Per altro io ho incontrato il mio "Daimon" letteralmente lo scorso anno. È una storia curiosa ;)
Buon anno e buone letture!
Un medico, dunque : complimenti!
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Proverò a riprenderlo, il tema è sicuramente importante.
Grazie
Buone letture.
Ciao.