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Una stanza tutta per sè
 
Una stanza tutta per sè 2017-01-24 18:07:28 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    24 Gennaio, 2017
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Lucidità di analisi e fascino poetico

Tra le mie infinite lacune letterarie una delle più clamorose, visto l’amore che porto alla letteratura del primo novecento, è data dal fatto che non ho ancora letto alcun romanzo di Virginia Woolf. Eppure i libri sono lì, in libreria: le opere principali acquistate sin da giovane da mia moglie, ed altri pochi volumi da me in anni recenti; prima o poi dovrò decidermi ad Per finire, ancora una volta non posso che lodare questa ormai scomparsa edizione Newton, che associa ad una ottima traduzione di Maura Del Serra una bella introduzione di Armanda Guiducci.affrontare questa imprescindibile autrice. Non so da cosa sia derivata questa sorta di indifferenza per Woolf: forse dal fatto che ho inizialmente concentrato gran parte della mia attenzione sull’area culturale che più mi affascinava da giovane, quella tedesca, e che delle altre ho per lungo tempo inseguito solo i nomi da me considerati maggiori, come Proust o Joyce; per riallacciarmi al contenuto di Una stanza tutta per sé, il motivo profondo può darsi che si possa rintracciare nel fatto che Woolf è una autrice, e che inconsciamente non considerassi la sua letteratura alla stregua di quelle dei grandissimi autori citati prima. È in ogni caso un dato che per lungo tempo l’unico scritto di Woolf nella mia libreria è stato proprio questo volumetto edito da Newton negli anni ‘90, e che ancora oggi non conosco praticamente nulla della scrittrice: che sia proprio io ad avere paura di Virginia Woolf?
Una stanza tutta per sé, pur non essendo un romanzo ma un Per finire, ancora una volta non posso che lodare questa ormai scomparsa edizione Newton, che associa ad una ottima traduzione di Maura Del Serra una bella introduzione di Armanda Guiducci.breve saggio, è tuttavia un’opera molto nota ed importante, anche perché ha rappresentato un testo chiave della (ri)scoperta di Virginia Woolf in chiave femminista, avvenuta negli anni ‘70. Si tratta della rielaborazione del contenuto di due conferenze che Woolf tenne nell’autunno del 1928 in due colleges femminili, sul tema le donne e il romanzo.
Dico subito che si tratta, a mio parere, di un testo splendido, da cui traspare la cultura e la profonda conoscenza della letteratura (in particolare britannica) che Virginia Woolf possedeva, la sua lucidità analitica, il suo stile e la sua capacità di fare letteratura anche in un contesto saggistico.
In poche decine di pagine infatti l’autrice traccia una storia della letteratura femminile inglese che, se è minima quanto a sviluppo quantitativo, è ricchissima di informazioni e spunti di riflessione, tanto da poter costituire anche un utile vademecum per la possibile scoperta di alcune autrici a noi (meglio, a me) sconosciute; analizza con taglio originalissimo, quasi da materialismo marxiano, le cause della mancanza di una vera letteratura femminile e della subalternità culturale della donna in un mondo al maschile; ci offre infine, a guida, corredo ed esemplificazione delle sue analisi, dei piccoli momenti di vita vissuta (o immaginata) che – rappresentando probabilmente un assaggio della sua capacità di scrittura – mi rendono impaziente di affrontarne i romanzi.
Il titolo del saggio deriva dalla tesi di fondo sostenuta da Woolf in merito alla possibilità per una donna di dedicarsi alla letteratura: perché questo accada è necessario che quella donna possieda del denaro che le permetta di vivere decentemente (l’autrice fa uPer finire, ancora una volta non posso che lodare questa ormai scomparsa edizione Newton, che associa ad una ottima traduzione di Maura Del Serra una bella introduzione di Armanda Guiducci.na cifra precisa: 500 sterline all’anno, cifra che il personaggio narrante che ci accompagna riceve grazie all’eredità di una zia) e uno spazio tutto per sé, una stanza dove poter giungere a quella concentrazione intellettuale necessaria alla creazione dell’opera d’arte senza essere continuamente interrotta dalle necessità familiari. Questa insistenza sulle condizioni materiali che devono sussistere per permettere la produzione letteraria, in questo caso femminile, è come detto uno dei tratti caratterizzanti il testo di cui stiamo parlando, e a mio avviso ne costituisce l’elemento di maggiore fascino intellettuale e di maggiore modernità.
Woolf infatti adotta questo metodo di analisi nell’insieme della piccola storia della letteratura britannica che costituisce la parte preponderante del saggio, non mancando comunque di accompagnarlo ad una analisi più psicologica del rapporto tra i sessi nella storia e nella società a lei contemporanea. Constatando la completa mancanza di donne autrici nell’Inghilterra elisabettiana, la fa risalire al fatto che all’epoca le donne, per quel poco che ne tramandano le cronache e ne confermano gli studi storici, erano completamente soggette alla volontà del patriarca, che stabiliva il loro destino sin dalla culla e non mancava di ricondurle alla ragione con mezzi spesso brutali in caso di ribellione. In un bellissimo inserto letterario e didattico, Woolf immagina che Shakespeare abbia avuto una sorella, Judith, come lui attratta dal teatro e dalla poesia. Cosa le sarebbe accaduto, quale sarebbe stata la sua vicenda? L’autrice ci racconta che, mentre il fratello veniva avviato agli studi, Judith sarebbe rimasta a casa e, adolescente, il padre le avrebbe scelto un marito. Quando Judith fosse scappata a Londra per recitare, come William, sarebbe stata considerata nello stesso ambiente teatrale poco meno di una pazza: probabilmente si sarebbe ritrovata incinta di un benefattore e l’unico epilogo possibile sarebbe stato il suicidio: ”si uccise, una notte d’inverno, e venne sepolta a un incrocio, là dove ora si fermano gli autobus, presso Elephant and Castle.” In questa breve, amara storia Woolf riassume un mondo, i cui tratti costitutivi sono confermanti anche dal fatto che le prime donne autrici britanniche, quando appaiono nel XVII secolo, sono aristocratiche senza figli, in genere considerate eccentriche dai mariti e dalla società, spesso relegate in case di campagna, che scrivono per hobby. Woolf ci introduce poi la figura di Aphra Behn, la prima romanziera inglese, che visse, anche se stentatamente ed emarginata, della sua letteratura alla fine del ‘600.
Una particolare attenzione, in questa piccola storia della letteratura al femminile, è dedicata alle scrittrici del primo ‘800, Jane Austen, le sorelle Brontë, George Eliot. In esse Woolf vede la nascita di una nuova epoca, seppure ancora limitata dal fatto che a queste autrici fosse comunque impedito di avere le stesse esperienze e la stessa indipendenza economica e sociale dei colleghi maschi, come pure di avere una stanza tutta per sé. Proprio a questo fatto, abbastanza curiosamente, Woolf attribuisce la scelta del romanzo come forma espressiva da parte di queste autrici: mentre la poesia richiede concentrazione assoluta, il romanzo meglio si adatta ad essere scritto nel soggiorno comune. Fra queste autrici, il favore di Woolf va a Jane Austen, che avrebbe creato un vero e proprio stile femminile di scrittura.
E’ significativo, per comprendere la portata complessiva che l’autrice attribuisce alla sua analisi, il fatto che ella riporti il testo di un esteso brano di Sir Arthur Quiller-Couch, il quale, partendo dalla constatazione che quasi tutti i grandi poeti degli ultimi secoli erano colti e benestanti, osserva che le condizioni materiali di vita sono il principale ostacolo allo sviluppo di talenti artistici tra le classi inferiori.
Se nel ‘900 una parte significativa delle limitazioni materiali che di fatto hanno impedito nel corso del tempo alle donne di esprimere il loro talento letterario sono state rimosse (mi sento di poter aggiungere almeno nelle classi elevate e medie di una società evoluta come quella britannica) resta il fatto che la società è ancora prevalentemente maschile nella sua organizzazione e nel suo sentire comune.
Apro a questo punto un inciso: può apparentemente fare abbastanza impressione leggere le considerazioni sulla donna ”intellettualmente, moralmente e fisicamente inferiore all’uomo” e altre dello stesso tenore che Woolf riporta da scritti dell’epoca o di poco precedenti, ma non dobbiamo mai dimenticare che ancora oggi, nel nostro paese, tesi simili, magari formalmente edulcorate, hanno ancora piena dignità politica.
L’autrice attribuisce il maschilismo (termine peraltro da lei non usato) della società direttamente all’esercizio del potere e alle sue implicazioni anche psicologiche: per poter legittimare il potere che esercita verso gli altri uomini, l’uomo ha necessità di sentirsi superiore ad almeno la metà dell’umanità, la metà femminile. Non manca un accenno alla misoginia che caratterizza in genere i detentori di potere assoluto, da Napoleone a Mussolini: al regime fascista viene dedicato un preciso spazio, per stigmatizzare, ridicolizzandola, la pretesa di creare un romanzo fascista propugnata da alcuni intellettuali nostrani dell’epoca.
Nella parte finale del saggio Woolf tratteggia quella che dovrebbe essere la nuova letteratura femminile, e la definisce come una letteratura androgina. Sarebbe infatti un errore creare una letteratura contrapposta a quella maschile dominante, che giocoforza avrebbe, specularmente, gli stessi difetti di questa (i suoi strali si scagliano in particolare contro Galsworthy e Kipling): la grande letteratura del passato è stata prodotta dagli autori che hanno fatto collaborare le due metà della personalità che si trovano in tutti noi, quella femminile e quella maschile: Shakespeare, Keats, Sterne, Cowper, Lamb e Coleridge erano androgini, nel senso che nelle loro opere si ritrovano sensibilità non solo prettamente maschili. Proust, da Woolf amatissimo, era fors’anche un po’ troppo donna. Le letterate, ma anche i letterati, del futuro dovranno, secondo Woolf, caratterizzarsi per questa androginia, per questa collaborazione tra elemento maschile e femminile. A questo proposito giova ricordare, per contestualizzare queste affermazioni, sia la storia personale dell’autrice, sia il fatto che Woolf aveva appena dato alle stampe Orlando, romanzo basato proprio sulla esplicitazione dell’androginia come forza creatrice dell’arte.
Come ho detto all’inizio, questo saggio, pur così analitico, non è l’arido atto di una conferenza, ma è guidato da un forte afflato letterario, che si esprime in alcuni bellissimi momenti narrativi. Woolf parla al suo uditorio per bocca di Mary Beton, Seton, Carmichael o come meglio credete, e all’inizio, per illustrare la condizione della donna, narra di una giornata di ottobre ad Oxbridge (la crasi è palese), dove le viene vietato di camminare in un prato (riservato a professori e studenti) e di entrare nella biblioteca universitaria, non essendo stata presentata da un uomo. Tutta la giornata di Mary è descritta con una grazia apparentemente leggera, ma nella quale ogni particolare percepito, ogni sensazione provata – come si addice ad una delle maestre del monologo interiore – assume un preciso significato per delineare un quadro complessivo, in questo caso di carattere culturale. In altri momenti seguiamo Mary al British Museum mentre consulta testi di storia sociale e della letteratura, ed infine, in quello che è il passo secondo me più bello ed anche significativo dal punto di vista letterario, l’idea della necessaria collaborazione tra maschile e femminile le viene osservando dalla finestra, in un momento di sospensione quasi magica del trambusto londinese, un uomo ed una donna che salgono su un taxi. Come all’adorato Marcel basta una sconnessione del lastricato per avere la certezza della necessità di scrivere la sua opera, a Mary/Virginia basta osservare due giovani che salgono insieme su un taxi per avere la certezza della necessità dell’androginia quale elemento fondante la letteratura.
Una stanza tutta per sé è un testo bellissimo, che non a caso ha rappresentato molto nell’evoluzione del pensiero femminista. E’ un testo in cui, al di là di alcune ingenuità, Woolf esprime la piena coscienza che sono le condizioni materiali di vita a determinare lo sviluppo delle facoltà intellettuali dell’individuo, e non viceversa, come ancora oggi a volte si tende a far credere. Se il sapore politico di questo saggio è quello che lo domina, non è però meno importante il suo spessore poetico, che lascia intravedere le grandi qualità letterarie della scrittrice regalandoci alcune pagine che sono delle autentiche chicche.

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siti
29 Gennaio, 2017
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Esaustivo come sempre, mi interessa questo scritto. Mi ero ripromessa di leggere tutta la produzione della Woolf che possiedo appunto nei Mammuth della Newton, ma questo scritto non è contemplato, giustamente , fra i romanzi. Avevo letto Gita al faro e la Signora Dalloway e mi erano piaciuti entrambi anche se la tecnica del flusso di coscienza mette alla prova. Ho iniziato "La crociera"e l'ho abbandonato. La tua recensione mi ricorda il mio proposito, eppure continuo a subire il fascino dei nuovi titoli che si infilano prepotenti nella lista in seguito al richiamo generato da altre letture. Insomma vorrei anche io una stanza tutta per me, in termini prettamente temporali. Ciao
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