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PER UNA STORIOGRAFIA DELLA MENTE
“La psicologia non è scienza!” Qui in Italia, questo è il parere di molti studiosi incanalati nell’alveo delle cosiddette “scienze dure”, che si sentono sempre in dovere di sottolineare la propria “superiorità epistemologica” e il proprio disprezzo per una disciplina che, a loro giudizio, ancora vaga fra vacue speculazioni filosofiche. Julian Jaynes, in vita stimato psicologo e professore dell’Università di Princeton, probabilmente avrebbe guardato questi “sapienti d’Italia”, arroccati nelle proprie torri d’avorio, come si guardano oggi degli animali buffi allo zoo. Lui che peraltro attingeva informazioni, senza alcun fare pregiudiziale, da un caleidoscopio di numerosissime discipline (neuro-scienze, biologia, archeologia, chimica, etologia, storia dell’arte, critica letteraria, storia delle religioni, filosofia analitica). La psicologia, difatti, rispetta a pieno titolo i paradigmi del metodo scientifico, constando non solo di un approccio speculativo, ma anche di uno osservativo-sperimentale volto all’accumulazione di dati empirici, reso rigoroso dall’utilizzo della statistica psicometrica. Naturalmente, essendo ai suoi inizi, la psicologia deve ancora affinare i propri strumenti di ricerca: ma ciò non fa di lei una “pseudo-scienza”. Del resto anche la biologia manca del rigore delle scienze fisiche (la teoria dell’evoluzione, per esempio, non è fondata su una formalizzazione matematica), ma non per questo è considerata una disciplina al margine del quadro della scientificità.
Questa difesa della psicologia mi è necessaria per introdurre il pensiero di Jaynes: leggendo Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, infatti, potrebbe venir meno la sicurezza e l’autorevolezza con cui di solito vengono presentate le teorie scientifiche; e questo è dovuto al fatto che Jaynes, con questo splendido testo, non si è posto l’obiettivo di fornire una rappresentazione scientifica supportata da solide basi, ma quello di spogliare il lettore di alcuni dei suoi pregiudizi che concernono la coscienza, la storia, la religione e la scienza, proponendo una mera speculazione, non suffragata da prove granitiche, in grado di legare più eventi e fenomeni in uno schema, un’economia, un pensiero, coerente e privo di evidenti discontinuità.
Il nocciolo del libro di Jaynes, che vanta uno stile incredibilmente seducente, con vette sia di approfondimento scientifico che di poeticità in prosa, è che la coscienza, quel “teatro segreto fatto di monologhi senza parole e consigli prevenienti, dimora invisibile di tutti gli umori, le meditazioni e i misteri”, non nasce con l’uomo e si è costruita, nel corso della storia, sulle ceneri di una precedente “impostazione” della psiche umana: la mente bicamerale.
Per Jaynes, ai tempi dei primi insediamenti umani e delle antiche civiltà mediterranee, ma più avanti anche asiatiche e americane, l'emisfero destro del cervello, oggi privo di una specifica funzione neurologica, possedeva un'area, corrispondente all'area di Wernicke nel sinistro, in cui venivano organizzate esperienze ammonitorie, codificate poi in "voci" che venivano "ascoltate" mediante la commisura anteriore dell'emisfero sinistro o dominante. Queste allucinazioni uditive, che si manifestavano sotto forma di comandi perentori, era utilissime agli uomini privi di coscienza (incapaci di “narrativizzare” eventi in un proprio spazio mentale) per condurre la propria esistenza e per svolgere semplici compiti necessari alla sopravvivenza e alla civiltà: l’origine delle allucinazioni viene ascritta all’evoluzione del linguaggio, alla necessità da parte dei primi Homo Sapiens in grado di parlare di tener salda nella memoria comandi provenienti da altri individui del proprio clan, al ricordo delle voci dei capo-clan o re morti, rivissute interiormente.
Nel libro secondo è a partire da queste premesse, poste nel primo libro, che viene condotta una brillante storiografia della mente, che si assimila a un compito non lontano dalla “chimica delle idee” di Nietzsche: innanzitutto l’autore analizza l’evolversi delle civiltà, sempre imperniate intorno a gerarchie teocratiche e al culto di idoli e tombe, tenendo sempre presente la considerazione per cui le voci allucinatorie postulate prima sono scaturigine del fenomeno religioso, che si manifesta in tutte le antiche civiltà secondo precise configurazioni e modalità; successivamente fa coincidere il crollo della mente bicamerale con il periodo di sconvolgimenti ambientali e sociali del II millennio a.C.; e ancora segue la nascita e lo sviluppo della coscienza fino ai giorni odierni.
Ma il mondo contemporaneo della coscienza, come rivela il libro terzo, è ancora intaccato dalle vestigia della mente bicamerale: la trascendenza degli dei, che abbandonano la terra per raggiungere il cielo, il persistere della religione, gli oracoli, i profeti, le possessioni demoniache, l’ipnosi, la schizofrenia, la poesia, la musica e persino la scienza sono tutti fenomeni che vengono collegati a questa antica struttura della mente umana.
Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza è un libro di inaudito fascino e contiene un’analisi della mente e del suo prodotto, la civiltà, originale, audace, a tratti cruda e controversa. Naturalmente Jaynes, pur cercando di razionalizzare ogni aspetto religioso-spirituale della storia, non colma del tutto le motivazioni che si celano dietro l’aspirazione religiosa: come mai la religione è sopravvissuta alla mente bicamerale? Può davvero la religione essere soltanto il rimpianto di un eden perduto, di una civiltà diversa dalla nostra che ci liberava dal peso asfissiante della responsabilità individuale? “Ai posteri l’ardua sentenza”, sperando, naturalmente, che non perdano la coscienza!
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