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Il macigno rotola ancora
Sisifo, dipinto tradizionalmente come il più scaltro dei mortali, è un personaggio della mitologia greca; punito per aver osato sfidare gli dei, fu costretto da Zeus a far rotolare un enorme macigno dal pendici alla sommità di un monte, per vederlo poi puntualmente ricadere giù una volta giunto in cima.
Nella sua dissertazione sull’assurdo Albert Camus strumentalizza l’eterno mito, fornendone una lettura metaforica funzionale alla tesi da lui sostenuta nel saggio. Proprio come Sisifo, costretto ad una fatica che si rivela costantemente vana, l’uomo si trova, non per sua volontà, a dover spingere il suo macigno per le impervie vie della vita, con l’amara consapevolezza che alla fine di tutto non ci sarà che la morte, vanificazione di ogni sforzo in rapporto al mondo. In ciò risiede l’assurdo, vera e propria condizione esistenziale per l’uomo: “A questo punto del proprio sforzo, l'uomo si trova davanti all'irrazionale e sente in sé un desiderio di felicità e di ragione. L'assurdo nasce dal confronto fra il richiamo umano e il silenzio irragionevole del mondo.”
Come porsi dunque di fronte al proprio ineluttabile destino mortale e alla consapevolezza dell’assurdità della vita? Se “un uomo è sempre preda delle proprie verità”, non resta dunque che la scelta tutta umana tra la contemplazione e l’azione. L’astratta contemplazione dell’esistenza, caratteristica tipica dell’esistenzialismo, conduce sulla via del suicidio, che Camus analizza come fenomeno filosofico. L’autore giunge così a dimostrarne l’inutilità, secondo un’argomentazione strettamente antropologica e mai sconfinante in banali moralismi, religiosi e non. Da un lato, il suicidio fisico fisico non risolve il problema dell’assurdo, dall’altro il suicidio spirituale, consistente nell’affidarsi totalmente a una potenza assoluta esterna (il Dio di Kierkegaard, la Ragione di Husserl) non fa che sviarlo illusoriamente. Il suicidio, ovvero l’oblio della consapevolezza, non è una risposta umanamente ragionevole a un umano problema.
“Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All'infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l'uomo è il solo padrone.”. Chi, al contrario, sceglie l’azione indirizza se stesso sulla via della libertà. La presa di coscienza della natura della vita da parte dell’uomo assurdo deve essere accompagnata dall’accettazione di questa convivenza forzata con i suoi mali, non dal vano ed illusorio tentativo di guarire da essi. In questo modo l’uomo assurdo, nello spazio limitato e soggetto a regole incontrollabili della sua esistenza, avrà compiuto la sua rivolta contro il destino e contro se stesso e si sarà conquistato la sua libertà. Libertà che è creazione, che è arte, che è vivere, che è soprattutto sopportare. Una libertà che nulla ha a che fare nemmeno col superuomo di Nietzsche, che col suo nichilismo rischia pericolosamente di cadere nel relativismo e in un’illusoria speranza di felicità da onnipotenza. La felicità non sta nel vivere tutto potendo, ma nella lotta contro il non poter tutto, poiché in questo consiste l’assurdo. Bisogna che il macigno continui sempre a rotolare.
“Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.”