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Fuoco nelle tenebre
'Vorrei perdere la ragione a un unico patto: essere sicuro di diventare un pazzo allegro, brioso ed eternamente di buon umore, senza problemi né ossessioni, che ride senza motivo dalla mattina alla sera. Desidero infinitamente estasi luminose, eppure allo stesso tempo non ne vorrei, perché ad esse fanno inevitabilmente seguito le depressioni. Vorrei invece che un bagno di luce scaturisse da me e trasfigurasse il mondo intero, un bagno che, lungi dalla tensione dell'estasi, conservasse la calma di un'eternità luminosa. Avrebbe la leggerezza della grazia e il calore di un sorriso.'
Suona questo come un grido di aiuto di un uomo lacerato dal dolore di una vita. In realtà a scrivere è un 22enne che, nonostante la sua giovane età, ha già raggiunto uno stadio di disperazione ai limiti del suicidio. Emil Cioran scrive quest'opera come fosse un'ancora di salvezza, permettendo alle tenebre del suo animo di venir fuori e scorrere tra le righe di questa confessione a cuore aperto.
Contrassegnata da un pessimismo cosmico, "Al culmine della disperazione" analizza la condizione dell'uomo che ha vissuto le sue passioni al massimo e, raggiuntone l'apice, è precipitato secondo l'inevitabile caduta verso le tenebre dell'indifferenza, del senso del nulla. Perchè ciò che dà vita e felicità è sempre effimero e quando fugge via all'uomo non resta che il ricordo e il vuoto che lo accompagna nel presente.
La giusta strada è dunque l'apatia e la rinuncia al dionisismo? La risposta di Cioran è assolutamente negativa, perchè nella vita e nel mondo non vi è alcunchè di razionale; pertanto meglio affrontare la sofferenza dopo una gioia vitale che vivere in una tranquillità mortale, meglio dar sfogo al fuoco dell'anima che spegnerlo. Perchè per quanto possa bruciare, il fuoco illumina ciò che lo circonda, verso un'eplosione finale di luce che rischiari d'amore un mondo di tenebre e, di riflesso, l'uomo stesso.
Con evidenti influssi nietzscheani (ma non solo) riscontrabili in tutta l'opera, serrata è la critica alla morale e alla società della ragione e del buon costume, quanto di più lontano dalla natura umana, natura di carne e sangue, che di certo non fa comodo, ma che meglio si addice all'uomo.
Tutto sommato, a ben vedere Cioran, nonostante la sua inquietudine e insofferenza, non rinnega se stesso, le sue passioni e il suo perseguimento del dionisiaco: sono gli altri il problema o è lui "Umano, troppo umano"? A volte l'umanità è davvero disumana.
Commenti
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Ho sentito parecchio parlare dell'autore, ma di lui non ho letto nulla : non mi attrae, appunto, il suo 'pessimismo cosmico' .