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L'educazione (im)possibile
 
L'educazione (im)possibile 2014-04-26 15:08:58 pierpaolo valfrè
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2.4
Stile 
 
3.0
Contenuti 
 
3.0
Approfondimento 
 
2.0
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2.0
pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    26 Aprile, 2014
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Impossibile è non provarci

Non è facile commentare un saggio scritto da un autore che si stima, per il quale si nutre rispetto e ammirazione, ma del cui contenuto non si condivide quasi nulla.
L’educazione (im)possibile di Vittorino Andreoli è un libro che mi ha messo molto a disagio, che ho letto con grande curiosità, sperando pagina dopo pagina di trovare la svolta che attendevo, e faticando sempre di più ad arrivare alla fine nonostante la qualità delle riflessioni dell’autore e il grande interesse dei temi trattati.
Perché ho fatto così fatica? Perché ho provato disagio?
Per due terzi il libro è un lungo elenco di riflessioni amare, di critiche al passato e al presente, strali acuminati che non lasciano speranze, come quei pensieri che tutti, genitori e non, a partire da una certa età lasciamo che ci attraversino la mente e il cuore (forse rappresentano la coperta di Linus di ex ragazzi che hanno ormai trascorso troppi anni nella fortezza Bastiani, mentre il mondo nel frattempo è andato avanti). L’ultima parte invece ripone le speranze di successo di ogni serio tentativo di educazione in un’utopica società nuova, nella quale possa fiorire un nuovo umanesimo, non più ciecamente fiducioso nelle qualità dell’uomo, ma vaccinato dalla crisi del Novecento e reso forte dalla consapevolezza dell’umanità fragilità.
Per chi è padre, o madre, è un discorso sconfortante. A costo di banalizzarlo (ma dobbiamo banalizzare un po’ le cose per riportarle sulla terra) significa questo: cari genitori, voi siete stati educati in un modo tremendo, con un sistema di regole buono soprattutto per generare una moltitudine di tranquilli e innocui cittadini sottomessi al potere. Oggi state assistendo impotenti allo sgretolarsi delle istituzioni (a cominciare dalla famiglia e dalla scuola) che vi davano un’illusoria sensazione di sicurezza. Soprattutto, le (giuste) critiche all’autoritarismo del passato hanno provocato una vittima certa: il padre, che non ha più un suo ruolo in famiglia ed è diventato inutile, tanto da poter definire la nostra società come una società senza padri. Ma poiché ogni vuoto è destinato ad essere riempito, sempre più forte sta emergendo il nuovo indiscusso capofamiglia, ovvero il dio denaro che è impiegato prevalentemente in spese inutili, caratterizzando la nostra società (oltre che per l’assenza del padre) anche come società dell’inutile.
Abbiamo qualche speranza? No, così come stanno le cose non ce l’abbiamo: manca nei giovani (e non solo) qualsiasi percezione del futuro, senza la quale non ha senso parlare di educazione. In qualsiasi ambito (famiglia, scuola, relazioni, sesso, consumi, politica) si vive per soddisfare i bisogni primari del momento, senza fare progetti, senza capacità di attesa, senza fantasia, senza sogni.
E dunque? Dunque non resta che sperare in un altro mondo, magari in un’altra vita…
Scherzi a parte, il problema è proprio qui: Andreoli vede nella crisi attuale un’occasione di rifondazione della società che permetta di uscire dalle logiche economiciste che oggi imperversano per riscoprire gli autentici valori dell’ascolto, del silenzio, dell’esperienza, del tempo delle relazioni, dell’affettività.
Non approfondisco ognuno dei punti per non dilungarmi troppo, ma ognuno di essi è trattato con un tale impeto visionario e utopico da gettarmi nello sconforto ancora più dell’impietosa analisi effettuata su presente e passato. Perché se l’analisi del presente è corretta, non si capisce su quali presupposti possano trovarsi le energie necessarie per questa nuova società.
Soprattutto avverto un profondo e istintivo rifiuto verso un’idea che percorre tutto il saggio, qualche volta in modo esplicito, altre volte semplicemente rimanendo nell’aria come nota dominante. E’ l’idea che in fondo tutto si determini nel collettivo, nel plurale e non nel privato. Perché il problema è quello: in attesa di questa rigenerata società del futuro (che di per sé, anche se tratteggiata da una persona mite e pacifica come Andreoli, evoca qualche inquietante fantasma del passato) che facciamo? Cosa ci raccontiamo? Come viviamo la realtà di tutti i giorni?
Nessun padre o madre di famiglia affiderebbe mai nemmeno l’infima parte del destino, della felicità o della salute dei propri figli alla speranza di un’incerta e poco probabile catarsi collettiva.
Un conto è la giusta critica all’Io straripante che produce invidia, bramosia, conflitto, frustrazione. Ma ben diverso è lasciar intendere che, senza una società nuova, ogni personale tentativo di trovare un proprio soddisfacente equilibrio rischia di rivelarsi vano.
Il capitolo che mi è piaciuto di più di tutto il libro è quello intitolato “Relazione e educazione”. E’ quello dove Andreoli, attingendo anche alla sua esperienza di psichiatra e terapeuta, parla della paura. Tutta la storia dell’uomo, le sue relazioni, i suoi stati d’animo, i suoi desideri, le sue passioni più profonde ruotano attorno al tema della paura. Anche il male e la violenza affondano le loro radici nella paura.
Dice Andreoli: “Non ho alcun dubbio che la relazione sia un meccanismo inventato per allontanare la paura. La relazione è il punto di partenza per stabilire un legame, e il legame può raggiungere la qualità del sentimento, che ha la capacità di far avvertire la presenza dell’altro anche quando si è soli”.
Ecco, proprio basandomi su queste belle parole, che condivido, mi permetto di criticare le conclusioni a cui Andreoli arriva. Perché non c’è genitore al mondo (anche se non colto e intelligente come chi scrive libri e studia gli uomini e la società) che non voglia almeno provare a stabilire con i propri figli quel legame.
Il bisogno di vincere la nostra paura, e di dare ai nostri figli un appiglio contro la paura, non ci farà mai riporre tutte le nostre speranze in un ipotetico processo di rinnovamento della società.
Qualcosa faremo sempre, magari sbagliando tutto, seguendo l’istinto e l’ispirazione del momento.
Perché, come scriveva Sandro Pertini a sua mamma dopo il carcere, il confino, la malattia: “nella vita occorre talvolta saper lottare non solo senza paura, ma anche senza speranza”.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
  • no
Consigliato a chi ha letto...
Utile come spunto di riflessione, lo sconsiglio se già siete inclini al pessimismo cosmico.
Se avete voglia di piangervi un po' addosso, le prime due parti fanno per voi.
Se insegnate, qua e là ce n'è anche per voi.
Se pensate che siamo ormai alla frutta, e che faremo tesoro di questi anni difficili per costruire la società di domani, fiondatevi sulla terza parte.
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Commenti

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Certo un tema difficile, questo, che molti stanno cercando di affrontare, anche perchè ora più che mai ci rendiamo conto degli errori fatti nel passato e delle conseguenze sulle giovani generazioni. Ma se è facile identificare gli errori commessi, sono d'accordo con te che è assai più complicato trovare i rimedi per il futuro. i giovani, credo, hanno sempre bisogno di punti di riferimento e bisogna non aver paura a volte di rischiare di cadere nella retorica cercando di recuperare valori per troppo tempo trascurati, a volte irrisi. interessante e profonda la tua analisi e ben centrati i tuoi consigli di lettura.
Sì, è l'istinto che ci impedisce di rimanere imbelli e inerti. E poi lo dice bene Andreoli: il nocciolo sta nella paura, dunque occorre infondere coraggio, non sconforto e rassegnazione!
Un saluto, cara Annamaria
Salve Pierpaolo.
Molto bella la tua recensione. Personalmente non condivido il 'pessimismo cosmico' né l'idea che si basi tutto sul collettivo. Penso, anzi, che i figli recepiscano soprattutto ciò che viene filtrato dalla famiglia. Il problema, casomai, è proprio che spesso i genitori sono essi stessi portatori di disvalori che, magari inconsapevolmente, hanno accolto in sé. Ovviamente non tutti rientrano in questa categoria. Ad esempio, penso che i tuoi figli (figlie ?) siano fortunati.
Bellissima analisi Pierpaolo,
anche io come genitore cadrei nello sconforto nel leggere questo scritto, ma analizzando il mondo che mi circonda (come genitore) e guardando nel mio nucleo familiare trovo un po' di conforto nel trovare sempre più genitori "attenti" ad una educazione di qualità.
Io in mio figlio non vedo un bambino senza ideali, vedo un futuro uomo a cui lascio un mondo non bellissimo in cui vivere, ma la sua mente ora come ora (e parlo di tanti altri suoi coetanei) si sta aprendo, attraverso la lettura, attraverso l'amore per la natura, attraverso una giusta considerazione del denaro, presentatogli non come il nostro dio e padrone, ma come mezzo.
Capisco le tue perplessità perchè per chi dà tutto se stesso per crescere i propri figli è sconfortante leggere che siamo spacciati. Io sono fiduciosa.
Ancora complimenti
Raffaella
Ho letto con molto interesse la tua recensione Pierpaolo.
Io condivido sia Andreoli, sia te. Mi pare lampante che facendo un esame obiettivo della realtà, ne risulti chiaro il momento di crisi di valori e quanto in difficoltà siano molti genitori, per nulla aiutati dalla società e dai mass media in generale.
Resistono per ora i "più forti"...rari, coloro che possono ancorarsi ad importanti valori trasmessi dai genitori, ma soprattutto da una rete sociale ancora molto attiva perlomeno in certe realtà, alla quale sono integrati.
A me piace sempre pensare ad una possibile speranza e amo pensare al ruolo di ogni individuo...a ciascuno di noi...nella propria realtà quotidiana e anche qui, in qualità di recensori. Mi son sempre battuta per questo...ma non sempre capita.
Infine per quanto riguarda la paura...beh, io sono convinta che più che vincere la paura, bisognerebbe aiutare i ragazzi ad accettarla per imparare a conviverci...per non aver paura di ... aver paura. Solo così i ragazzi diventeranno forti nel loro futuro.
Grazie Pierpaolo per questa riflessione a cui mi hai portato...grazie davvero.
Pia
@Emilio
@Pia
@Raffaella
Grazie per la pazienza e l'attenzione che mi avete dedicato e per i vostri interessanti commenti.
Mi accorgo che la recensione era un po' prolissa, ma sono argomenti che mi appassionano e sono contento che sia lo stesso anche per voi.
Molto interessante la rilfessione di Pia sulla paura e la condivido, perchè il vero coraggio non nega, anzi accetta la propria paura.
Ogni epoca ha avuto le proprie crisi e difficoltà e mi sembra giusto tener conto di ciò che nel cambiamento si perde, ma anche di ciò che si guadagna.
Con Raffaella mi sembra di condividere l'idea che quando si tratta di figli prevale in tutti noi un "istinto animale" che ci guida molto più di qualsiasi teoria o convinzione razionale.
Certo, come dice Emilio, tutto parte dalla famiglia, ma qui il discorso rischia di diventare veramente lungo e difficile.

Grazie Pierpaolo.
Pia
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