Dettagli Recensione
La mano di Efesto
Occhialino alla Cavour, pipa in radica e un pratico à plomb tipicamente britannico, a dispetto della nazionalità statunitense, riesco a immaginarlo facilmente il signor Sennett alla propria scrivania mentre pensa al lessico più corretto per scrivere quello che i suoi conterranei definirebbero un masterpiece di genere. Esimio sociologo e saggista, siede in cattedra con atteggiamento informale ed educa in modo dilettevole, approfondito e iper documentato su una tematica sensibile, volenti o nolenti, di un era di crisi globale. Crisi di valori, prima che crisi economica. “L’uomo artigiano” è un libro ambizioso e ben fatto, uno di quelli per cui ci si sente grati dell’esistenza di qualcuno che è riuscito a mettere nero su bianco, e in modo ordinato, tutto un bagaglio di idee che si hanno a livello “tacito” (il lettore di Sennett capirà la scelta terminologica) ma che non si è mai trovato il modo giusto per esplicitarle con logica. Vi si trovano idee, pensieri, nozioni semplici, in certi casi comprese in un bagaglio collettivo, che vengono però indagate in profondità e arricchite di retroscena che solo un documentarista accorto può scovare. La tematica affrontata da Richard Sennett è quella dell’artigiano, del suo ruolo millenario di fondatore e custode dei saperi più ancestrali nell’ambito della tecnica. Una figura che viene esplorata, sviscerata fin nelle sue più recondite sfaccettature per presentare al lettore del ventunesimo secolo un contesto sepolto dalla “cultura di massa” nata a metà Novecento. Quella dell’artigiano, quello vero, quello che fa le cose, il maker vero e proprio, è una figura che non riesce a scrollarsi di dosso, nel bene e nel male, una certa affettazione legata al pittoresco e ai folclori nazionali. Ma Sennett, dopo averci presentato il maker in tutte le sue forme più arcaiche, partendo dalle emulazioni di Efesto nella Grecia classica, passando per l’orafo medievale, per il produttore di mattoni di epoca elisabettiana, per il sistema fordista e arrivando ai tempi correnti, tenta ossimoricamente la strada più agibile per considerare l’artigiano e il suo campo d’azione alla luce di una realtà priva di malinconismi e orpelli tradizionalistici. Ci porta a spasso, a volte facendoci compiere salti temporali piuttosto impervi, indicandoci il valore immortale dell’agire e del produrre affidandosi allo strumento per eccellenza. Le mani. Le mani fattive, che compiono, che sono simbolo, specchio, forza concreta e applicazione di un pensare alto. La nobiltà dell’uomo che fa, senza sentimentalismi, è quello che egli si prepone di evidenziare, in contraddizione alla concezione dell’ animal laborans, l’ottuso animale da lavoro, che secoli di industrializzazione ci hanno inculcato erroneamente. E poco ci importa delle macchine di Vaucanson, il primo a capire l’utilità della meccanica applicata alla produttività. Quello che importa è la visione illuministica, prima, e pragmatica, poi, di come si possa trovare serenità, soddisfazione e libertà di pensiero anche in un mondo come il nostro che si concentra esclusivamente sul lavoro di concetto, diventato anch’esso, ahinoi, un prodotto del fordismo, sfruttatore di capacità al servizio del soldo.
Ricordo, in merito, la concezione del processo storico di Saint-Simon, secondo il quale la storia dell’uomo sarebbe nient’altro che una inevitabile successione ciclica di periodi di progressione e periodi di regressione, in cui tutto viene rimesso in discussione per arrivare al progresso conseguente, all’infinito. Ricordo anche un detto: in tempi di crisi si guarda sempre al passato. Ebbene, in un certo senso mi sembra che sia questo, in parte, quello che sta accadendo. La visione di Sennett non è retrograda, tutt’altro. Ma il solo fatto di dedicare tempo, capacità e dedizione per valorizzare una figura così legata al nostro passato come quella dell’artigiano, mi fa pensare a quanto ci sia bisogno si trovare una strada nuova, più luminosa di quelle che si aprono di fronte alle nuove generazioni.
“L’uomo artigiano” è una guida variegata e piacevole che porta all’approfondimento di un contesto che con tutta probabilità vedrà una rinascita, proprio in seno all’era contemporanea. Lo dimostrano le modalità di lavoro artigianali che vengono adottate anche nella creazione dei più moderni software per computer e in tantissimi altri luoghi di produzione considerati emblematici del nostro tempo.
E allora, per sapere ciò che siamo stati, ciò che siamo e, forse, ciò che saremo in un futuro che bussa ormai alla nostra porta, un saggio come quello scritto da Sennett si rivela, al pari delle nostre mani, uno strumento cruciale e poetico per guardare all’orizzonte.
Nel ringraziare il mio prof per averlo consigliato, invito tutti ad una sua lettura.