Dettagli Recensione
Bagno di fuoco
Cioran assassina suo malgrado la vita. Con un ragionamento teso sul filo accecante della lucidità disgrega le finzioni, opacizza paradossalmente l'illusione, il compromesso della sopravvivenza. Troppo poco illuso dalla conoscenza per risultare disingannato. Cioran è un fine psicologo di se stesso, e quindi degli atri, ma quanta volgarità nelle gerarchie, nelle classificazioni, nella cristallizzazione della vita in un forma geometrica! Al culmine della disperazione, quando l'insonnia tormenta infaticabile l'uomo stremato, quando la stanchezza reclama solo il silenzio, dell'io e dell'altro, quando la mente pare precipitare negli abissi inconoscibili dell'irrazionalità (che in Cioran è sinonimo di ingenuità), allora con atroce e infallibile precisione, spietato e insensibile, il pensiero tormenta, e là dove si desidera l'oblio, si è costretti a contemplare lo spazio infinito della propria miseria. Al culmine della disperazione Cioran scrive per sopravvivere, per espellere da sé quel calore, quell'incontenibile traumatico impeto che lo conduce all'autodistruzione.
“Vivere un bagno di fuoco, subire il capriccio di un forte calore interiore, non è forse raggiungere una purezza eterea, un'immaterialità simile a una danza di fiamme?”
Ridursi in cenere, scarnificare se stessi, disperdersi nell'infinito del cosmo, sovrabbondati di vita, sinuosi come la curva vertiginosa dell'infinito, straripanti di vita, dionisiaci, indefinitivamente altri rispetto alla truce banalità, mediocrità e insignificanza della forma geometrica. Al culmine della disperazione l'unica salvezza è fustigare l'uomo razionale, abbruttirsi, rinunciare a quella tragica distinzione che segna il divario tra uomo e animale. Tornare bestia, se solo si potesse! Cioran fallisce, inchiodato dalla sua stessa ragione, drammatico proprio perché in conflitto con essa, condannato ad ogni riga ad una lucidità disarmante, feroce, ignara “del correttivo dell'ironia”: sarcasmo brutale contro se stessi, contro l'uomo, autoironia dissacrante, trasfigurazione grottesca della propria insulsa banalità. Al culmine della disperazione solo l'amore permette di restare in piedi, perché quando si ama si è già caduti. O forse l'odio, il disprezzo, ultima difesa contro un'irrimediabile e spietata solitudine. A soli ventidue anni Cioran è sospesa tra il vertiginosamente alto e il profondamente basso, inorridito dalla mediocrità che non sa affacciarsi alla vita, condannato alla dissoluzione dalla propria natura. Ciò che Cioran contempla è la vertigine, il parossismo, l'esperienza totalizzante, l'unione delle discordanze, l'estasi che sottrae alla miseria, l'incommensurabile, la spirale piuttosto che la retta. Muore e cresce allo stesso tempo, si dilata fino alla disgregazione, ruota attorno a un mondo senza centro, trascinato da una forza centrifuga che nonostante lo sforzo, malgrado la suprema consapevolezza dell'unica salvezza, lo condanna a ruotare attorno al nulla senza poterlo raggiungere, senza poter unirsi alla natura in un impeto di agghiacciante splendore.
Cioran è l'anti-filosofo: bandisce la conoscenza perché ne è saturo, asfissiato. Perché la conoscenza lucida ed implacabile, sull'ordito di un ragionamento in perenne contraddizione, senza speranza di soluzione, senza alcun segno di linearità, inchioda alla percezione della vacuità del mondo. Non la vacuità dell'oblio, ma della significanza. L'insonnia come mostro che perseguita, come ironia tragica che non lascia scampo. La stessa tragica ironia che ha fatto spegnere Cioran a Parigi, colpito da un Alzheimer che ne ha intaccato l'imparagonabile, sublime lucidità. Stupisce che non si sia suicidato, ma al culmine della disperazione la morte ripugna tanto quanto la vita. Il dramma di Cioran è il paradiso perduto dell'utero materno, l'Eden da raggiungere è l'infinito ampliarsi del mondo al di là della ragione, al di là della razionalità.
Non è un testo semplice, e nello stile, di rara eleganza e concretezza, e nei contenuti: come affermerà lo stesso Cioran in questo suo primo libro c'è tutto il suo pensiero, sconnesso, ordine-fobico, senza coerenza, senza consequenzialità: un'esplosione non imbrigliabile, un pensiero che trascende la filosofia, la psicologia, e contempla il mondo dall'alto della propria interiorità, animato da una lucidità lacerante nella quale si consuma il divario non colmabile tra anima e mondo. Un testo spezzato, passaggi involuti, criptici, che soggiaciono alla logica dello sfogo piuttosto che a quella della pubblicazione, della comunicazione. Pretendere di comprendere tutto è un'illusione per il lettore, la stessa che accompagna l'idea di poter cogliere la profondità di una mente sublime e dannata. Non posso non consigliarlo, non posso farlo con leggerezza. A voi la scelta di raggiungere le vette della disperazione. Da parte mia non lo rifarei.
[Non credo sia propriamente un saggio, il voto di approfondimento è rapportato agli altri].
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Commenti
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leggere la tua recensione mi è servito per andare a cercare notizie sull'autore....
Comunque bella recensione! Ormai il sentirti delirare spesso mi ha fatto abituare al tuo registro filosofico-psicoanalitico...
Esco dalla tua recensione con l'immagine di un uomo talmente tormentato da non essere in grado di uscirne...è una mia percezione?
Pia
Grazie per il complimento!
Pia
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