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L’unica prevedibilità era l’imprevedibilità
Ritengo opportuno da subito chiarire un legittimo dubbio e cioè se effettivamente Gabriele D’Annunzio abbia scritto questo Manuale del Rivoluzionario. Non lo fece e quindi il lavoro del curatore Emiliano Cannone è consistito nel raccogliere articoli, passaggi di opere dannunziane, discorsi dello stesso, raccordandoli al fine di dimostrare un innato spirito rivoluzionario che caratterizzò negli scritti e nei comportamenti il poeta pescarese.
Si è trattato, indubbiamente, di una fatica improba per portare alla luce qualche cosa di nuovo di questo straordinario personaggio, così inconsueto e fuori da ogni canone da poter dire di lui che l’unico comportamento prevedibile era la sua imprevedibilità.
Proprio per questo, cioè per comprendere gli scopi di questo libro, sono dell’opinione che una volta tanto la lettura della quasi sempre negletta introduzione sia da considerarsi indispensabile, perché altrimenti si corre il rischio di perdersi nei meandri di parole, ritraendo impressioni che assai facilmente non risulterebbero in linea con gli intenti del curatore.
Ma è mio dovere effettuare un’ulteriore premessa: D’Annunzio come autore e come personaggio non rientra nel mio sentire.
Lui era troppo “tutto e il contrario di tutto”, io sono fermamente coerente, lui era genio dell’inventiva, io sono teso a una costante razionalità volta a conseguenze deduttive. Siamo cioè nettamente agli antipodi, ma ciò non toglie che D’Annunzio mi abbia comunque sempre interessato e l’abbia visto e continui a vederlo come uno che avrebbe potuto segnare una svolta nell’evoluzione dell’umanità e che invece non la realizzò.
Visse in un’epoca caratterizzata da una degenerazione del parlamentarismo assai simile all’attuale, un mondo in disfacimento a cui il vate pescarese intendeva contrapporre una Vita nova, un ideale appena abbozzato, basato su alcune caratteristiche del socialismo, ma più imparentato con l’anarchia, e quindi inconcludente e destinato all’insuccesso, come provò anche l’esperienza fiumana.
Per certi aspetti tendente a un comunismo di tipo sovietico (e la copertina ci mostra un D’Annunzio-Lenin che arringa le masse), ma senza la dittatura tipica del marxismo-leninismo, e quindi irrealizzabile, portato a un fiero nazionalismo, frutto di un sentimento patriottico intriso di retorica, D’Annunzio, tuttavia, non può essere considerato né un precursore, né un sostenitore del fascismo, movimento più reazionario che rivoluzionario. Ma l’ambiguità dell’uomo fu tale che non solo non avversò il fascismo, ma vi giunse a patti, in modo tale che ne ottenne benefici per un suo silenzio-assenso. Certamente vero invece fu il fatto che Mussolini e il fascismo fecero propri alcuni motti e simboli di D’Annunzio, sempre con il tacito consenso dell’interessato. Insomma, per dirla breve, fu uno che seppe tenere i piedi in più scarpe, per ovvi vantaggi personali, in primo luogo per soddisfare quell’eterna sete di denaro necessario a una vita fin troppo dispendiosa.
Ecco, grazie a questo libro e al lavoro di Cannone, si hanno ulteriori tasselli per delineare la personalità non certo semplice di D’Annunzio, di volta in volta intellettuale, letterato, guerriero, politico, idealista e amante della bella vita, una poliedricità di comportamenti che se hanno fatto di lui uno dei protagonisti di quel periodo di tempo che va dalla seconda metà del XIX secolo fino a quasi l’inizio della seconda guerra mondiale, pur tuttavia finiscono con il limitare le possibilità di un giudizio compiuto, ancor oggi basato, almeno a livello popolare, su pochi elementi eclatanti e quasi sempre inesatti.
Quindi, cercare di comprendere chi fu è restituire alla storia e alla memoria un ulteriore contributo di verità, che deve andare oltre qualsiasi grado di giudizio; in questo senso sono dell’opinione che Manuale del rivoluzionario possa essere di non poco aiuto.