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Conversazione con Primo Levi
 
Conversazione con Primo Levi 2013-03-15 08:29:27 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    15 Marzo, 2013
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Il dilemma di Primo Levi

Due scrittori, assai noti (Primo Levi aveva già scritto e pubblicato Se questo è un uomo e La tregua, Ferdinando Camon, benché più giovane, era già conosciuto per Il Quinto Stato, La vita eterna, Occidente e Un altare per la madre), si incontrarono nei primi anni ’80, per la precisione il primo contatto diretto avvenne nel 1982 a Torino, città in cui Primo Levi era nato e risiedeva; ce ne furono successivamente degli altri, tanto che l’ultimo fu nel 1986.
Quella che doveva essere un’intervista di Camon a Levi divenne una vera e propria conversazione, che pur obbedendo a una scaletta di domande predisposte dal primo e concordate con il secondo, si rivelò uno scambio di opinioni di grandissimo interesse. Deve essere dato atto a Ferdinando Camon di aver ben interpretato i desideri dei lettori, più che mai curiosi di conoscere qualche cosa di più di questo grande autore, testimone e vittima della Shoa, per sua natura persona assai umile e che ha sempre cercato di parlare attraverso le sue opere.
Ma cosa spinse Camon a contattare Levi per intervistarlo? Questa è la prima domanda che ho rivolto allo scrittore padovano che mi ha risposto, come sua consuetudine, in modo esauriente e senza reticenze. Mi ha detto che era stato spinto da un complesso di colpa, in quanto figlio di quella civiltà dell’Europa occidentale che nel tempo ha preso di mira gli ebrei, con un lavorio di esclusione durato diversi secoli e giunto al suo culmine con la follia nazista volta al loro sterminio.
Beninteso questo senso di colpa è una radice che uno si porta appresso per atti compiuti, magari molto tempo prima che nascesse, dal mondo di cui fa parte, da una civiltà che si crede esemplare e che invece nasconde in un’atavica avversione per gli ebrei, un nocciolo di inciviltà ancor oggi difficilmente scalzabile, atteso un serpeggiante dilagare dell’ostracismo per tutti quelli che non ne sono membri.
Come dice Camon, per lui andare da Levi era come andare a Canossa, e forse ha avvertito tanto di più questo senso di colpa in quanto cristiano e anche cattolico, proprio per la constatazione che il far parte di un credo religioso porta inconsciamente a vedere gli altri, cioè quelli di fede diversa, come degli estranei.
E’ stato però fortunato, perché Levi sì era ebreo, ma non praticante, anzi non credente, per quanto in lui ci fosse una continua ricerca che andava oltre l’umana comprensione dell’Olocausto, ma anche di una relazione fra questo e un eventuale Entità superiore. Quando a conclusione della conversazione Levi dice “C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio,” aggiunge poi a matita sui foglio sui quali la stessa è trascritta “Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo” è evidente che l’uomo era impegnato in un logorante, ma anche angosciante tentativo di dare una risposta logica, razionale, che andasse oltre l’atto di fede, in pratica una certezza che per lui e per noi è del tutto impossibile.
Questa conversazione, in cui si misurano due intellettuali di diversa matrice religiosa, è stata ben orientata in nove temi, svolti con scambio di opinioni, non sempre coincidenti, e che inducono il lettore a riflettere, magari esponendo un pensiero anche dissimile, tanto che più di una volta, e questo è accaduto a me, nasce proprio la voglia di potersi inserire nel colloquio che non risulta di un asettico accademismo.
Il diavolo nella storia, La colpa di essere nati, Cos’era il lager, La Germania allora e ora, Perché scrivere, Lager nazista e lager comunista, La nascita di Israele, Le opere, L’uomo e la chimica, sono questi gli argomenti su cui si è svolta la conversazione e, se pur non si è arrivati a conclusioni di verità assolute, lo scambio di pareri, le osservazioni puntuali e razionali a cui è sempre stata improntata costituiscono un contributo importante che, senza arrivare a conclusioni certe e definitive, pur tuttavia rappresentano un arricchimento di cui tutti possono beneficiare.
In fondo ci troviamo di fronte a due persone che non desiderano imporre le loro idee, ma che vogliono solo capire, e questo è l’altro aspetto di pregio di questo libro, perché alla fine non ci sono né vinti, né vincitori, ma si resta consapevoli che qualche cosa si è fatto, che un altro passo verso la conoscenza si è compiuto.
Devo dire che mi sarebbe piaciuto poter intervistare Levi, ma non credo proprio che avrei potuto dare vita a una conversazione così interessante come invece ha fatto Camon e l’impressione che alla fine si ritrae é che questi due uomini, di estrazione diversa, sono più simili di quanto non si possa immaginare e pagina dopo pagina è piacevole lasciarsi condurre quasi per mano da entrambi in un percorso altamente gratificante e che porta a una grande sensazione di serenità, la stessa che si raggiunge quando si è consapevoli di un accrescimento del proprio patrimonio culturale.
Per quanto ovvio, Conversazione con Primo Levi è sicuramente e ampiamente raccomandabile.


N.B.: per leggere l’intervista da me effettuata a Ferdinando Camon il link è il seguente:
http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=80&det=11279



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Commenti

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E a chi non sarebbe piaciuto intervistare Levi?... Interessante segnalazione.
In risposta ad un precedente commento
petra
15 Marzo, 2013
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Molto interessante. Stimo molto Camon, lo credo un gran giornalista, e credo che Levi abbia scritto alcuni fra i testi più importanti sulla Shoa. Leggerò il libro senz'altro, grazie.
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