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La natura delle cose e il senso della vita
Piergiorgio Odifreddi, il ben noto matematico, docente di logica, collaboratore di varie riviste scientifiche e saggista, non poteva non dare un suo valido contributo alla divulgazione dello splendido e illuminante poema di Tito Lucrezio Caro, il “De rerum natura”, giunto a noi forse come sua unica opera (il poeta morì, si presume, intorno al 50 a.C.) dopo secoli di oblio. Un oblio comprensibile, dati i contenuti del testo, un inno alla libertà della ragione contro ogni fanatismo religioso: dopo i commenti positivi di Cicerone e qualche fortuna nel I e II secolo dopo Cristo, il poema fu dimenticato per tutto il medioevo e avversato dal cristianesimo tanto da finire all’Indice durante il Concilio di Trento per poi essere riportato alla luce e rivalutato nei secoli successivi.
L’autore ha tradotto il poema in una edizione raffinata e originale: le pagine dispari riportano il testo tradotto, le pagine pari il commento di Odifreddi con tavole illustrative e riferimenti alle conoscenze scientifiche attuali.
I Libri in cui si divide l’opera di Lucrezio, come noto, sono sei, raggruppati da Odifreddi due a due: il microcosmo ( I gli atomi, II fisica e chimica), l’uomo (III la psiche, IV fisiologia e psicologia), il macrocosmo ( V la terra, VI meteorologia e geologia). Lucrezio spazia dalle cose più minute alle più macroscopiche, collegandole tra loro tramite la presenza dell’uomo con le sue caratteristiche. Molti potrebbero essere gli spunti di riflessione leggendo la traduzione di Odifreddi. Ne riporterò solo alcuni, illuminanti, che sottolineano la visione moderna di Lucrezio di quanto osservato, senza preconcetti né condizionamenti fuorvianti.
Per esempio, scorrendo i primi due Libri, Lucrezio afferma subito che la natura delle cose e la ragione dissipano paure e tenebre dell’animo, che è bene immaginare di guardare la vita e le persone con distacco, come da una vetta, e che il mondo, pieno di difetti, non può essere opera degli dei. Infiniti sono i mondi, con i loro spazi ed i loro esseri viventi : esistono, sì, gli dei, ma vivono una loro placida vita, disinteressandosi degli uomini e delle loro vicende.
Nei Libri riguardanti l’uomo, Lucrezio afferma che non bisogna avere nessuna paura della morte, poiché il timore di andare sottoterra non è maggiore di quello che si può provare vivendoci sopra. La psiche, così come l’animo, nasce e vive col corpo e con il corpo muore: non esiste né un prima, né un dopo, niente è immortale. Si riceve la vita in uso temporaneo, quindi niente lamenti o pianti: la fine della vita è certa, la morte è inevitabile.
Negli ultimi due Libri, Lucrezio invita a capire realmente le “cose” della natura, altrimenti si continua a credere in dei tirannici e onnipotenti. L’autore tratta anche temi più complessi come la generazione da parte della terra di specie animali solo dopo quelle vegetali e il problema del linguaggio, che è innato. Si sofferma anche, ed una volta di più, sulle religioni, “inventate” per ignoranza delle cause ed incapacità di ragionare: chi non sa comprendere i fenomeni meteorologici, li attribuisce erroneamente agli dei, mentre sono spiegabili con il ragionamento scientifico.
Lucrezio cita più volte il filosofo greco Epicuro, vissuto più di 200 anni prima di lui e presentato come un eroe che ha combattuto il condizionamento della religione e il timore degli dei, per nulla interessati al nostro mondo. Per divulgare la filosofia di Epicuro nel mondo romano, una filosofia estranea fino ai tempi di Lucrezio alle classi dirigenti di allora, il poeta chiede l’aiuto e l’intercessione di Venere, simbolo della bellezza e dell’istinto naturale di fecondazione e generazione: proprio a Venere è dedicato il proemio del “De rerum natura”, alla dea che “ regge la natura delle cose e che voglio come compagna per comporre i versi che provo a scrivere …”. A proposito di citazioni, il saggio di Odifreddi elenca, alla fine, i nomi citati nell’opera e nel suo commento ( ben 366, guidati in ordine quantitativo da Epicuro appunto, seguito da Newton, Platone, Galileo e Virgilio, e poi via via fino a Jovanotti, Bob Dylan e John Lennon); completano il volume, l’indice delle opere letterarie, musicali, pittoriche citate (271), l’indice dell’apparato iconografico (146 opere) e una “bibliografia lucreziana minima” (15 voci).
Si può dissentire dalle posizioni nettamente laiche di Odifreddi, avversario convinto di qualsiasi credo religioso ( sua l’affermazione “la vera religione è la matematica, il resto è superstizione” da “Il Vangelo secondo la scienza” del 1999), ma non si può disconoscere nel suo saggio “Come stanno le cose” un lungo e minuzioso lavoro nel presentarci un Lucrezio idealmente connesso anche alla nostra cultura, umanistica e scientifica, comprensibile anche senza evocare condizionamenti metafisici.
In conclusione, un imponente lavoro quello di Piergiorgio Odifreddi: un libro iconograficamente splendido, una grande opera di divulgazione scientifica, per capire (o chiedersi) “come stanno le cose” e riflettere su quale sia il vero senso della vita: forse, la vita stessa.
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