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La meccanica quantistica, e non solo.
Ci vuole un certo coraggio ad affrontare da opinionista questo saggio di Carlo Rovelli, soprattutto da parte di chi, come lo scrivente, ha solo vaghi ricordi della Fisica studiata al liceo ed al primo anno d’Università, circa sessant’anni fa, quella Fisica ormai soppiantata da successive illuminanti ricerche sui quanti e sulla loro meccanica. Proprio di meccanica quantistica infatti tratta il saggio di Rovelli, anche se di “quanti”, a me pressoché sconosciuti, non ho trovato da parte sua una definizione. Ho dovuto cercarla su internet, ed ho trovato che un “quanto” è il valore minimo, finito e indivisibile di una grandezza fisica, qualcosa che va oltre le mie conoscenze sulla scolastica struttura dell’atomo, e che porta alla ribalta una nuova realtà, fatta di fotoni (quanti di energia), bosoni W e Z (quanti mediatori dell’energia elettrodebole), e magari gravitoni e gluoni. Un mondo nuovo ed affascinante di particelle (onde?) che vorrebbe spiegare il comportamento di tutto, un mondo che ha caratteristiche quasi magiche (e in parte ancora avvolte nel mistero) e che, fin dalle prime scoperte, ha sempre affascinato scienziati e filosofi. Nel suo saggio, Rovelli ripercorre la storia delle varie scoperte, partendo da Helgoland, una sperduta isola del Mare del Nord, dove un giovanissimo fisico, Werner Heisenberg, nel lontano 1925, cominciò a capire e costruire la “teoria dei quanti”, capace di chiarire tutto, dagli atomi ad altri campi della scienza, una teoria, scrive Rovelli, che è “al centro dell’oscurità della scienza”. Tutta la prima parte del saggio è dedicata ad analizzare la teoria dei quanti, partendo dal concetto degli elettroni che saltano bizzarramente da un’orbita all’altra e poi via via trattando i temi delle “matrici” (intese come tabelle di numeri) di Heisenberg, degli elettroni intesi anche come “onda”, dell’energia che può essere “granulare”, della cosiddetta “sovrapposizione quantistica” (presenza contemporanea di due proprietà contradditorie: qui viene citato il famoso apologo di Schrodinger sull’altrettanto famoso e citatissimo gatto, sveglio e addormentato nello stesso tempo). Il tutto per concludere che la realtà non è come la dipinge la Fisica classica, ma consiste in una rete tutta di relazioni e interazioni: insomma la teoria dei quanti è la teoria di come le cose si influenzano vicendevolmente, questo, afferma Rovelli, è la migliore definizione della natura che abbiamo oggi. Tutto è fluttuante, la visione classica, nitida e solida, del mondo che noi abbiamo è solo un’illusione.
Il tema principale è ovviamente quello di spiegare la meccanica quantistica. Esaurito l’argomento principale, in altre sezioni del saggio Rovelli si cimenta nell’analisi di movimenti storici, filosofici e letterari del Novecento, contemporanei alle grandi scoperte della Fisica: dagli albori della rivoluzione russa citando le opere di Lenin sul materialismo e del suo rivale Bogdanov (pseudonimo di Aleksandr Malinovskij) sull’empiriocriticismo di Ernst Mach, che, guarda caso, fu una delle fonti di ispirazione filosofica per Heisenberg ed Einstein, fino alle pagine immortali di Robert Musil sull’importanza della lettura scientifica del mondo, sia nel romanzo “I turbamenti del giovane Torless” che nel suo capolavoro “L’uomo senza qualità”. Le pagine più ostiche arrivano nell’ultima sezione del saggio. Qui Rovelli affronta il problema di come il mondo in cui viviamo sia tessuto da relazioni e interazioni più che da oggetti e del modo in cui la filosofia occidentale abbia tentato di rispondere alla domanda di cosa sia veramente fondamentale. Una risposta, afferma Rovelli in conclusione, la si può anche trovare in un testo della filosofia indiana del II secolo, ad opera di un saggio del tempo, Nagarjuna, che sostiene non esservi cosa esistente in sé, indipendente da altro: prospettiva affascinante, che ci fa pensare al mondo dei quanti. Le riflessioni di Rovelli assorbono più e più pagine, talora di comprensione non facile e ripetitive, quasi che l’autore volesse convincere non solo i lettori ma sé stesso, soprattutto quando si interroga sulla relazione tra i pensieri e ciò che avviene “fuori” da essi o sul significato vero della parola “significato” (informazione? evoluzione?). Il saggio si conclude con una memorabile citazione dalla “Tempesta” di Shakespeare: “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno”. E Rovelli aggiunge: “L’interconnessione delle cose, il riflettersi l’una nell’altra, splende di una luce chiara che la freddezza della meccanica settecentesca non riusciva a catturare. Anche se ci lascia esterrefatti. Anche se ci lascia un senso profondo di mistero”.
I ringraziamenti ad una lunghissima serie di collaboratori, ben 135 note esplicative del testo ed un indice analitico interminabile la dicono lunga sulla complessità degli argomenti trattati. Difficoltà e incomprensibilità (ad una prima lettura e per i non addetti ai lavori !) di taluni argomenti non devono essere di ostacolo alla lettura di un testo che, alla fine, può essere gratificante ed offrire una visione affascinante delle cose, del mondo in cui viviamo e di una realtà che inconsapevolmente non percepiamo nella sua vera essenza.
Da leggere quindi, assaporando pagina dopo pagina e riflettendo, magari saltando (come suggerisce lo stesso autore) le pagine più ostiche: qualcosa dentro resterà sempre e ci aiuterà a guardare il mondo con occhi nuovi.
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