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Scatole, palline e probabilità
Non stupisce che un secolo così difficile e vacillante come il Novecento, si sia aperto ai piedi dei maestri del sospetto, Schopenhauer, Nietzsche e Freud e sia continuato con le deflagranti teorie di Einstein, Heisenberg e Gödel; un secolo in cui lo spazio, il tempo e l’identità hanno perso la propria solida e indefessa consistenza per inseguire il dubbio, il relativismo, l’indeterminazione. E così gli elettroni diventano non particelle, ma onde di probabilità, il tempo si dilata e contrae nelle teorie di Bergson e nella ricerca di Proust, l’io scopre sconcertanti profondità in se stesso che lo fanno dubitare della sua stessa consapevolezza. Non stupisce dunque che la fisica quantistica sia nata nel Novecento, a rimarcare ancora una volta che il placido e compiaciuto mondo newtoniano è, in fondo, un modello applicabile solo su scale intermedie.
La fisica quantistica resta strana e difficile da penetrare, spesso banalizzata: l’entanglement, che lega due particelle anche a chilometri di distanza, è diventato l’ennesima frase da-bacio-perugina bistrattato, distorto, travisato. E sono convinto che spesso questo sia dovuto al fatto che si divulgano le teorie, senza spiegare il meccanismo di fondo. Per esemplificare con una immagine più vicina al mio ambito di studio, è come dire che sì l’insulina determina un abbassamento dei livelli di glucosio nel sangue, ma senza spiegarne il meccanismo molecolare: e non spiegare il meccanismo è una forma di magia, non di scienza. L’interesse primario di questo libro di Therry Rudolph, nipote di Heisenberg, è proprio il suo sforzo di spiegare la meccanica dei quanti, il modo con cui questa nuova fisica funziona: e così il libro si riempie di immagini, esempi con scatole, leggi della logica, palline colorate, che si scambiano, modificano e interagiscono con l’ambiente in modo per ora alquanto capriccioso. E Rudolph ha anche il merito di introdurre progressivamente la possibilità delle nuove tecnologie, i computer quantistici, i nuovi calcoli possibili, il tempo di studio che potrà essere più ridotto.
Certo non è un libro facile: leggerlo richiede non solo una certa dose di attenzione, ma anche un’elasticità logica che non penso sia così diffusa come l’autore mi pare credere. Il difetto maggiore che si può ravvisare, nonostante lo sforzo di renderlo facile, è che a forza di fare esempi si perde il quadro generale (riperdendo l’immagine di cui sopra, è come insegnare dettagliatamente le vie molecolari con cui l’insulina agisce senza però dire che alla fine, stringi stringi, fa diminuire la glicemia). Ci vorrebbe, in questo, più equilibrio, qualche pagina in più, oppure si dovrebbe destinare il libro a un pubblico che abbia ben chiari i riferimenti entro cui ci si muove. Dunque un buon libro, ma con le dovute precauzioni.
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