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Sulle tracce dei transumanisti
Mentre la comunità scientifica lancia allarmi, seriamente preoccupata delle condizioni di salute del nostro pianeta, una strana fauna si aggira in California, nell’Eden capitalistico che prende il nome di Silicon Valley, parlando di un avvenire luminoso, convinta di poter rivoluzionare il mondo e la condizione umana e in costante ricerca di finanziamenti. Si tratta dei transumanisti: scienziati, ingegneri, pensatori, grandi manager ma anche persone “comuni” che lavorano per far sì che le fantasie e le intuizioni dei grandi scrittori di fantascienza possano realizzarsi concretamente. I transumanisti fondano il loro credo sull’idea che sia possibile sbarazzarsi dei problemi legati alla nostra limitata biologia umana, fatta di organi inefficaci e flaccidi, scarsa intelligenza e bias cognitivi, e, in particolare, della morte, la quale da destino inscritto nell’ontologia dell’uomo diviene mera malattia da eradicare il prima possibile per mezzo della tecnologia. Messosi sulle loro tracce, Mark O’Connell, giornalista dublinese, firma del “The Guardian” e del “New Yorker”, ne delinea una stupenda zoologia nel suo saggio d’esordio: Essere una macchina (2017). Il saggio, impreziosito qua e là di riflessioni molto profonde, è una galleria di personaggi pittoreschi, che l’autore ha avuto la fortuna di incontrare. Si va dal filosofo-becchino Max More, fondatore del movimento transumanista e presidente e amministratore delegato della Alcor, un’organizzazione no-profit che si occupa di crionica, cioè della preservazione di corpi umani a bassissime temperature in attesa che le future tecnologie possano riportarli in vita, al neuroscienziato Randal Koene, il quale sogna di realizzare il mind uploading, il trasferimento delle menti umane in sistemi informatici; si va dai grinders, “transumanisti pratici” che s’impiantano dispositivi e chip sotto pelle con l’intenzione di divenire cyborg immuni al decadimento fisico, al funereo Aubrey de Grey, impegnato nel progetto SENS (Strategies for Engineered Negligible Senescence), che si propone l’obiettivo di trovare una “cura” per l’invecchiamento per mezzo delle biotecnologie, fino all’eccentrico Istvan Zoltan, candidato alle presidenziali americane che O’Connell ha accompagnato durante la campagna elettorale, condotta su un camper a forma di bara e incentrata sulla promessa di trovare un modo per “abolire” la morte. A questo caleidoscopico gruppo non si può non aggiungere il guru Ray Kurzweil, che O’Connell non è riuscito a incontrare ma a cui ha comunque dedicato un capitolo: si tratta di un noto inventore e informatico della Silicon Valley che ha scritto diversi libri sul transumanesimo e che ha predetto l’avvento imminente della Singolarità. “La Singolarità di Kurzweil – scrive O’Connell – è una visione quasi psichedelica dell’abbondanza tecnologica, una teleologia definita nei più minuti particolari in cui tutta la storia converge verso un’apoteosi dell’intelletto puro”. Con la Singolarità ci disincarneremo, non saremo più in balia di pulsioni primordiali e superstizioni, avremo a nostra disposizione nuovi corpi, esoscheletri robotici o virtuali, acquisiremo un potere tale da poter imporre finalmente un senso all’inerte materia, simili in questo al demiurgo di Platone.
O’Connell affronta i suoi interlocutori con una buona dose di scetticismo e più che colpirli sul terreno delle possibilità della scienza e della tecnica, a cui del resto non può che riconoscere un potere che sembra inarrestabile, cerca di mostrarne l’attaccamento psicologico ad antiche idee e desideri, che hanno fatto la fortuna di mitologie, religioni e filosofie, quali l’idea che la mente sia qualcosa di distinto dal corpo, il desiderio di trascendere la limitatezza umana, il rigetto della natura, il desiderio di trovare un senso che innervi e muova la storia. La filosofia transumanista cade così in una lampante contraddizione: pretende di svuotare l’uomo di tutti i bisogni e le credenze funzionali a “vivere nella savana” ma inadatte per costruire il futuro, ma lo fa abbarbicandosi a desideri umani, troppo umani.