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In vino veritas
Il vino ha una storia antica, tanto antica che accompagna l’uomo dall’inizio della sua storia. Con il vino l’uomo viaggia i giorni della sua vita su questa terra. Rosso o bianco, dolce o robusto, giovane o invecchiato, il vino traccia la strada della verità a chi decide di intraprenderla. Non a caso il tradizionale detto “in vino veritas” indica agli uomini il giusto atteggiamento da intraprendere, la giusta “filosofia”, appunto, di cui l’autore di questo interessante libro parla.
Perchè di filosofia si tratta. C'è una filosofia della conoscenza, dell'arte, della scienza, della morale, dell'azione... Ogni ambito del sapere può aspirare a essere oggetto di riflessione filosofica. Anche il vino. Certo, il vino è più un prodotto della pratica che del sapere; e quindi dal dire si passa al fare, e bisogna saperlo dimostrare. Tante sono le sue implicazioni - culturali, religiose, simboliche, etiche, e quindi filosofiche - che non è affatto sorprendente trovarsi tra le mani un volume che ripercorre la lunga storia del rapporto del vino con la riflessione filosofica.
Parlare di vino significa, allora, parlare di idee ed il pensiero va subito a persone e personaggi come Platone, o meglio il Socrate platonico: è nel Simposio che si assiste, per la prima volta nella storia della filosofia occidentale, a un elogio del vino e dell'ebbrezza che ne è conseguenza, ebbrezza che, sulla scorta del mito dionisiaco, del pitagorismo e dell'orfismo, è vista come disvelatrice di verità.
Ecco, la “verità” di cui dicevo innanzi. Chi conosce il vino, conosce e quindi dice la “verità”. E la “verità” fa riconoscere il giusto vino. Sembra una cosa facile, questa. Ed invece, non lo è. Specialemente oggi che tutti si sono messi a fare il vino. Ovunque ci vada, si viaggia e si desina, c’è un posto in cui il vino ha la sua presenza. Tutto il mondo sembra essere inondato da questo dolce mare rosso vellutato, o bianco dorato, tutto è avvolto dal suo profumo che viene da lontano e ti porta lontano. Spesso anche troppo. Ma in Aristotele c'è già quella condanna dell'ebbrezza che avrebbe caratterizzato gran parte della cultura occidentale. Mentre nel cristianesimo si assiste alla sua simbolizzazione: simbolo mistico per eccellenza, il vino è il sangue di Cristo.
Nel leggere la storia filosofica del vino fino al Novecento (secolo nel quale la celebre "svolta linguistica" non ha prodotto anche una svolta enoica: Wittgenstein, osserva Donà, aveva un atteggiamento "apertamente negativo" nei confronti del vino), scopriamo che Bacone ne evidenziava gli effetti benefici e che Descartes era interessato ai processi di vinificazione e agli effetti del vino sull'organismo; che il razionalismo e l'empirismo teorizzavano la misura nel berlo, così come Kant. Hegel lo amava ma non ne teorizzava, Kierkegaard ne tesseva le lodi nel dialogo “In vino veritas”. Nell'Ottocento è stato visto a volte come rimedio alla tragicità dell'esistenza (Baudelaire, Leopardi), mentre nel Novecento è stato spesso visto come simbolo di trasgressione dai valori informati all'equilibrio borghese di origine illuminista (Bataille, l'esistenzialismo francese).
Ma il vino vince su tutto e tutti. Di fronte ad un bicchiere di vino non si può mentire, si può sognare ma non si può tradire. E Giuda, quella sera non bevve...