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La guerra non fa preferenze
Tra l’estate e l’autunno 1938 in Spagna si combatté quella che poi fu definita la battaglia dell’Ebro. L’esercito repubblicano, per cercare di alleggerire la pressione che le armate franchiste stavano esercitando in direzione di Madrid, valicò in vari punti il fiume Ebro, in Catalogna, per aprire un secondo fronte. I nazionalisti furono colti di sorpresa e, nei primi giorni, sembrò che l’offensiva avrebbe avuto successo. Però, dopo aver percorso pochi chilometri oltre le sponde, l’avanzata si impantanò e iniziò una serie terribile di scontri d’attrito per la conquista o riconquista di ogni singolo avamposto, villaggio, cimitero.
Fu la battaglia più feroce di tutta la guerra civile. Si calcola che nei cinque mesi in cui durò, complessivamente persero la vita oltre 15.000 uomini e rimasero feriti, alcuni in modo gravissimo e permanente, almeno 50.000 combattenti. La sconfitta delle truppe repubblicane determinò, di fatto, l’esito finale della guerra e la vittoria dei franchisti.
In questo romanzo Pérez-Reverte concentra il suo racconto nei dieci giorni successivi alla notte tra il 24 e il 25 luglio, quando le truppe repubblicane varcarono l’Ebro per posizionarsi nell’immaginario paese di Castelets del Sangre, contendendo ogni metro alle, inizialmente impreparate, truppe nazionaliste che lo presidiavano. Come la località geografica, pure i personaggi che agiscono nella vicenda sono, per lo più, inventati, con l’esclusione dei nomi storici che, talvolta, compaiono nell’azione o nella narrazione dei protagonisti. Alcuni di essi, però, sono palesemente ispirati a persone reali che parteciparono davvero a quegli eventi. Inoltre i fatti narrati sono tragicamente aderenti a quanto avvenne davvero in quei giorni e l’efferatezza di quei combattimenti ricalca esattamente quanto successe allora.
“Linea di fuoco” è un romanzo duro, difficile da leggere, non tanto per lo stile narrativo che resta quello tipico di Pérez-Reverte, agile, fluido, diretto, quanto per i suoi contenuti, aspri, dolenti. È soprattutto un romanzo di fatti, azioni concitate e frenetiche che si susseguono brusche e incalzanti come una carrellata di diapositive su scontri a fuoco e sull’indiscriminata, assoluta brutalità con la quale i contendenti si affrontarono, senza rispetto neppure per chi si arrendeva. Il filo conduttore di tutta la storia è l’orrore della guerra col suo sottofondo sonoro di colpi di fucile e di mitragliatrice – che sibilano in ogni pagina, quasi in ogni riga, intervallati dalle deflagrazioni di granate e proietti d’artiglieria che spaccano ossa, dilaniano corpi – e di lamenti di poveri giovani straziati e morenti.
Non trovano posto, se non marginale, i sentimenti e le emozioni se si escludono quelle primordiali dettate dall’istinto di sopravvivenza o dall’adrenalinica pulsione predatoria. Nonostante ciò, nei radi momenti di tregua tra i combattimenti, c’è ancora qualcuno che cerca di aprire il suo animo a qualcun altro, di esprimere onestamente e apertamente il proprio pensiero, al di là dalle ideologie e dei giochi di potere; in questi radi casi si possono osservare gli spiragli di una umanità alla deriva.
“Linea di fuoco” non è neppure, propriamente, un libro di personaggi, per quanto, di questi ultimi ce ne siano davvero tanti, al punto da rendere difficoltoso ricordarli quando compaiono nella narrazione. Soprattutto perché, in ogni capitolo, si salta da un lato all’altro del fronte, da un centro di scontri a un altro, senza soluzione di continuità, rendendo frammentata la descrizione degli eventi, spezzettando in cento rivoli il fluire del racconto, e rendendo disagevole il ricordare da che parte combattesse questo o quel personaggio. Ma probabilmente questa confusione è voluta e rientra negli intenti dell’A. che non appoggia questa o quella fazione, ma mostra la tragedia dei singoli uomini espunti dalle schiere a cui appartengono, ma affratellati dal crudele destino comune.
Giacché il romanzo non parteggia per nessuno, è obiettivo nel mostrarci come non sia possibile operare una divisione manichea negli schieramenti. In entrambi i campi ci furono eroi e individui più che spregevoli. Ci furono i vigliacchi, magari costretti a diventare valorosi per necessità di sopravvivenza, e i combattenti devoti alla propria causa che ad essa sacrificarono tutto, anche la propria giovinezza. Nella storia non mancano i criminali per tendenza, gli individui stolidamente ideologizzati che ragionano solo per slogan e per i quali gli uomini che comandavano erano solo pedine di una scacchiera mossa da mani che stavano al sicuro, distanti dalla linea di fuoco. Poi ci sono le “anime pure”, gli onestamente convinti dei propri ideali e i poveri esseri strappati da casa, magari neppure diciottenni, per fornire “carne da cannone” in quel mostruoso tritacarne. Rari, ma forse, per questo motivo, più meritevoli di attenzione, gli esseri lucidi e razionali che cercano di riflettere con la loro testa sulla condizione umana e sulla situazione in cui si trovavano e lo fanno anche a rischio di essere indicati come traditori e finire epurati da chi tira le fila del grande gioco. Insomma, alla fine, ne esce un bel campionario di umanità.
Conclusivamente si tratta di un bel libro sulla guerra e, contemporaneamente, contro la guerra, che coinvolge e strazia soprattutto perché è impossibile leggerlo e dimenticare che, non troppo distante da noi, si sta svolgendo una tragedia del tutto simile dove gli esseri umani, portatori di pensieri, sentimenti e speranze, sono solo numeri di una statistica che conta i morti, i feriti e i dispersi. È anche un libro istruttivo perché richiama alla memoria una pagina di storia ormai lontana nel tempo, ma che sarebbe un crimine archiviare in un remoto dimenticatoio, soprattutto perché, noi italiani, vi giocammo un ruolo non secondario. È un romanzo, però, che conviene leggere cercando di conservare il maggior distacco emotivo, soprattutto deve ritenersi severamente vietato affezionarsi a qualsivoglia personaggio: potrebbe essere la prossima vittima dei combattimenti, di lì a qualche pagina: la guerra, si sa, non fa preferenze.