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Prospettiva inversa
.. “Io mi chiamo Paulette”… …’ Io mi chiamo Michel”..
Due bambini investiti dalla Guerra la vivono e la attraversano nel reciproco giocoso mostrarsi, una relazione intensa destinata a crescere.
Francia, 1940, nel pieno dell’ invasione nazista
,….” il lento corteo degli sfollati percorre la strada maestra, tra furia, misfatti, corse sfrenate, lamenti, risate insulse e feroci, l’ incedere dei passi, dei veicoli che avanzano, delle ruote che schiacciano, travolgono, uomini, donne, bambini, un misto di lacrime, pianti, schiaffi, canti, risate indistinte”…..
A pochi chilometri di distanza si erge il casale Saint Faix, cinque fattorie sparse, una chiesetta, un’ osteria, …” un luogo con una storia che ignora la Storia e che in quel giorno del 1940 è a sua volta ignorato da essa”….
La Guerra negli occhi di Paulette, orfana di entrambi i genitori, abbandonata a se stessa, imbrattata di un trauma inafferrabile, ospitata dai Delle, e di Michel, figlio minore di una famiglia numerosa, un bambino vivace che vive in un mondo adulto grezzo, litigioso, indifferente.
Eccoli l’ uno di fronte all’ altra, sguardi silenti che scrutano tratti marcati
…” i grandi occhi grigi di Paulette, i capelli biondi che le coprono la fronte”….,
…” lo sguardo posato su Michel, sui suoi piccoli occhi neri, allungati e scintillanti, sulle sue grandi orecchie che sembrano sorreggere il berretto macchiato di grasso, calcato fino alle sopracciglia”….
Un legame che si autoalimenta, i soli a comprendersi, un incontro casuale quando, nella propria solitudine, l’ altro pareva un estraneo ostile e disturbante.
Attorno la sfaldata quotidianità di due famiglie confinanti schierate l’ una contro l’ altra, disgrazie, dispetti, odio, inganni, un’ ignoranza paralizzante verso gli avvenimenti e la ritualità di certi gesti, in attesa della voce stentorea del patriarca, e allora tutti si muovono, lentamente.
Michel e Paulette veleggiano nella propria assenza, vagano e si costruiscono un prezioso angolo di mondo, cercano di sopravvivere nel dolce sapore dell’ attrazione, gesti delicati, premurosi, sorprendenti, l’ uno attraversato dalla collera e dal pianto, l’ altra scontrosa e selvatica.
Un intreccio giocoso e pericoloso ( il furto delle croci ), una relazione che profuma di un linguaggio condiviso, lacrime, solitudine, sofferenza, distratti da molteplici presenze, sulla strada, nei campi, sulle siepi, sguardi, abbracci, risate, baci rubati, silenzi pensanti, la paura di separasi e di perdersi per sempre.
Il breve romanzo di Francois Boyer, uscito nelle librerie francesi nel 1947 tra l’ indifferenza di critica e lettori, impone una prospettiva bellica diversa ribaltandone i canoni rappresentativi in un’ estraniante visione della stessa, l’ iniziazione alla vita di due bambini che guardano e trattano con levita’ fanciullesca accadimenti e relazioni ai quali non riescono a sottrarsi e nei quali sono costretti a sopravvivere in un moto di malcelata dissimulazione.
Eccoli veleggiare e immergersi in un microcosmo di brutalità, incomprensione, banalità, sovente ignorati, tiranneggiati, dimenticati, mentre il respiro della morte imperversa e la forza della vita li attraversa.
La scrittura di Francois Boyer è densa, essenziale, caustica, diretta, descrizioni accurate di particolari significanti con pause di sarcasmo e di leggerezza, un contenuto che lascia intendere e ben rappresenta quel respiro di atrocità apparentemente dislocato altrove.
Il volto amaro della guerra impregna parole e sguardi condizionati e affranti dall’ eco della stessa, il respiro della vita permea gli sguardi maliziosi e intelligenti dei due protagonisti.