Dettagli Recensione
Giochi e guerra
«“Dov’è tuo padre?”.
“È morto”.
“E tua madre?”.
“È morta”.
“Perché piangi?” chiese Michel. […] “Aiutami, e poi vieni a mangiare a casa nostra”.
“E poi a dormire?”
“E poi anche a dormire”.»
François Boyer pubblica il suo “Giochi proibiti” nel 1947. Il libro è inizialmente ignorato tanto dai lettori quanto dalla critica. È solo dopo la trasposizione cinematografica di René Clément che torna alla ribalta e inizia ad avere successo. Ma attenzione, non è un libro che risparmia, non è un ennesimo libro sulla guerra per nessun motivo scontato. Al contrario è un romanzo crudele e folgorante che si focalizza e concentra sugli orrori della Seconda guerra mondiale e vi riesce per mezzo degli occhi di due bambini, Michel e Paulette. Due bambini, questi, investiti dalla guerra che osservano, sono travolti e privati di tutto da una guerra che non gli appartiene.
È il 1940, la piccola Paulette in questa estate e in una strada di campagna, vede morire i suoi genitori colpiti da una mitragliata aerea tedesca. È tempo di guerra, una guerra che porta sfollati, bombardamenti aerei, corpi umani lacerati e animali morti. I genitori di Paulette non sono da meno. Ella, nove anni, rimane di punto in bianco sola. Vaga Paulette, vaga tra la disperazione e la confusione generale. Vaga e ci descrive con i suoi occhi di bambina una prospettiva ignota, sconosciuta. Dalla sua altezza vede i talloni degli uomini, gli isterismi delle donne, non comprende le motivazioni, trasfigura ciò che è reale e lo trasforma in funzione di quelle che sono le sue priorità e i suoi bisogni. Ed è sempre per caso, in questo suo vagare, che approda al casale di Saint-Faix che si trova a cinque chilometri di distanza dalla strada maestra. Tuttavia, considerando l’epoca, potrebbe invece trovarsi in un altro mondo. Perché tanto quanto Saint-Faix vive in una sua realtà, altrettanto la Storia sembra disinteressarsene.
«Saint-Faix ignorava la Storia. E in quel giorno di giugno del 1940 fu chiaro che la Storia contraccambiava Saint-Faix con un identico disprezzo.»
È qui che vive una contadina dai modi altrettanto contadini e agri, Michel Dollé di anni dieci. Una volta incontrata Paulette nel bosco se la porta a casa. La guerra spezza, distrugge, nulla risparmia, al contrario i rapporti tra bambini sono rapidi ed immediati, semplici e diretti.
Ed è qui che iniziano i loro “Giochi proibiti”. Paulette è caratterizzata da un costante senso di distacco da tutto ciò che la circonda ma è anche affascinata dalla morte. Il loro gioco diventa, paradossalmente, quello di dare sepoltura ad ogni animale morto ponendo sopra ogni tomba una croce. Alcune scene possono essere disturbanti come quella della bambina bionda che balla con il cane morto, ma è davvero il mondo dei bambini quello non sano? O è forse il mondo adulto quello ipocrita che se ne frega della perdita dei più piccoli e della separazione e dolore che dissemina e semina nei cuori e nelle anime?
I giochi di Michel e Paulette sono intrisi di sacralità. I due seppelliscono gli animali a differenza dei genitori di Paulette che restano senza sepoltura. Onorare i defunti, ci ricordano i bambini, ha un prezzo e spesso è alto ma ha anche una certa sacralità che va rispettata proprio apponendo una croce sul luogo di riposo eterno.
«Chi non ha Dio non ha morale, chi non ha un prete non ha morale, chi non ha un tempio non ha morale, un senza morale è un amorale, un amorale è un immorale, evviva la morale, e mamma Dollé aveva concluso: “Ci fa la morale”.»
È possibile delineare un confine tra bene e male, innocenza e corruzione? L’opera di Boyer è un’opera dissacrante, senza confini, senza tempo. È uno scritto che imbarazza, spiazza, inizia alla vita, tocca il lettore con personaggi che non conoscono altro che la guerra, che sembrano aver dimenticato tutto quello che c’è stato prima e che non sembrano poter credere in un dopo.
È proprio la guerra il più assurdo dei “Giochi proibiti” che Michel e Paulette vivono sulla loro pelle mentre la crudeltà umana porta l’uomo ad uccidere l’altro uomo e tutto quello che trova sulla sua strada.
“Giochi proibiti” è un romanzo duro, disincantato, disilluso, che sullo sfondo ha sempre una crudeltà che viene narrata senza possibilità d’appello e in particolare senza forma alcuna di mediazione.