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I dubbi dello scorpione
Nel novembre 1936 la Guerra civile spagnola infiamma il Paese ormai da quattro mesi ed entrambe le fazioni hanno già dato prova della loro brutalità con la feroce repressione posta in atto contro chi non è allineato alle rispettive idee politiche.
Lorenzo Falcò, in questo scontro senza pietà, è un semplice mercenario. Milita nelle file del Generalissimo Francisco Franco solo perché il suo capo, l’Ammiraglio, che, cinque anni prima, l’aveva reclutato nelle file dei servizi segreti della Marina spagnola (lo SNIO: Servicio Nacional de Infomaciones y Operaciones), si è schierato con la fazione “nazionalista”. Tuttavia Falcò non ha ideali, non ha una causa per cui combattere, osserva in modo obiettivo (e se del caso critico) l’evolversi della situazione. Si gode i privilegi di una vita adrenalinica che gli permette lussi negati al resto della popolazione e, in cambio, la mette in gioco ogni volta spiando, trafficando e, se necessario, uccidendo su commissione, ma restando sempre nell’ombra, nell’anonimato. È un bell’uomo, gli piacciono gli abiti di lusso, la vita nei grandi alberghi, le belle donne (nessuna resiste al suo fascino!), le bevande costose e le sigarette d’importazione, ma quando c’è da agire lo fa in modo professionale e scrupoloso, non lasciando nulla al caso, obbedendo agli ordini, per quanto schifosi essi siano, senza contestare, senza risparmiarsi, ma agendo come uno scorpione: osservare con calma, pungere veloce e ritirarsi ancor più rapidamente.
L’ultima missione che gli è stata affidata dall’Ammiraglio, però, lo costringerà a uscire allo scoperto, contrariamente alle sue metodiche e, forse, a rivedere i suoi punti di riferimento. Dovrà andare a Alicante, nella zona “rossa” (cioè in quella parte della Spagna controllata dai repubblicani comunisti), per coordinare e comandare un gruppo di falangisti che, con il supporto del neo alleato tedesco, cercheranno di liberare dalle locali prigioni José Antonio Primo de Rivera, il fondatore della Falange, catturato dai repubblicani e in attesa di un processo che, inevitabilmente, lo vedrà condannato a morte.
Potrebbe essere un colpo di mano in grado di dare una svolta decisiva alle sorti della guerra civile, oppure un disastro di cui Falcò verrebbe ritenuto responsabile e che potrebbe portarlo a una morte lenta e tormentosa, torturato in una “checa”, le prigioni clandestine dei repubblicani.
Perez-Reverte è un abilissimo narratore che si destreggia con disinvoltura nel romanzo storico, al punto da rendere difficile discriminare ove finisca la realtà documentata e cominci l’invenzione. In questa opera si cimenta nel raccontare uno dei periodi più bui e dolorosi della storia spagnola recente, quello della Guerra civile, iniziata il 17 luglio 1936 con la “Sollevazione” e che si protrasse per quasi tre anni insanguinando tutto il Paese. Lo fa da una posizione privilegiata, quella di una specie di James Bond spagnolo (ma molto più cinico e opportunista dell’archetipo britannico) che ha l’opportunità di osservare le vicende vicino a dove vengono prese le decisioni fatali. Forse il personaggio di Lorenzo Falcò è lievemente sopra le righe, troppo sfacciato e impudente, troppo indifferente, troppo “insubordinato”, troppo tombeur de femmes per essere veramente credibile. Ma è inevitabile che risulti immediatamente affascinate e che si parteggi per questo simpatico ribaldo, anche quando le sue azioni sono tutt’altro che encomiabili.
Ciò che ho apprezzato di più nel romanzo, però, è l’assoluta obiettività con cui Perez-Reverte ci cala la realtà di quegli anni particolarmente difficili, quando il rischio di fare apologia e di essere agiografico (dove, in realtà, non ci fu santità alcuna) o, al contrario, di fare una pedissequa e acritica requisitoria contro una sola delle fazioni in guerra era molto alto, soprattutto per uno spagnolo. L’A., al contrario, ci fa conoscere eroi romantici e tragici, animati da una fede sincera, sia dall’una come dall’altra parte. Ma soprattutto ci ammonisce sul fatto che si trattò di una guerra sporca e cattiva ove nessuno poteva onestamente vantarsi di appartenere alla fazione dei “buoni”. Così, senza partigianeria e senza nascondere le orrende porcherie fatte da tutti, espone una vicenda ove emergono i più animaleschi istinti dell’uomo. Come osserva proprio Falcò, nel romanzo, l’unica reale differenza che distinse i franchisti dai “rossi” è che i primi agivano con fredda lucidità militaresca, anche nella brutalità; mentre i secondi erano spinti solo da una selvaggia, disorganizzata, crudeltà istintiva. Ma il risultato era identico: orrende sopraffazioni e negazione dei più elementari diritti della persona. Ed è Eva (una delle protagoniste) a stigmatizzare la cosa osservando come nessuno sia innocente, con l’esclusione degli animali e dei bambini, e forse nemmeno i bambini lo sono, perché, prima o poi, crescono…
La trama risulta avvincente anche se inevitabilmente prevedibile per chi conosce, pur solo superficialmente, gli eventi di quei mesi. Meno scontata, invece, la vicenda personale di Falcò e forse, proprio per questo, meno credibile, ma sicuramente gradita per dare una eticità accettabile alla storia.
Lo stile, forse non impeccabile, è certamente apprezzabile per l’abilità di raccontare il flusso degli eventi in modo agile e scorrevole come se ci si trovasse in una zona di confine, tra la mente del protagonista e quella di un osservatore esterno. Magari sarebbe stato auspicabile spezzettare meno certi periodi con tutte quelle subordinate, ma in breve si fa l’abitudine a questo cadenzare delle frasi che consente proprio quel gioco di punti di vista.
In conclusione si tratta di un bel romanzo che trascina il lettore e non stanca, ma appassiona sino all’ultima riga.