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Aleksandr Il’ic Rostov
«Il conte non aveva un temperamento vendicativo; non aveva l'immaginazione per epopee; e di certo non aveva l'ego di sognare imperi restaurati.
No. Lui era per il dominio della sua situazione e che sarebbe stato un diverso tipo del tutto diverso di prigioniero: un anglicano lavato a secco. Come Robinson Crusoe incagliato sull'isola di disperazione, il conte avrebbe mantenuto la sua determinazione impegnandosi per gli affari dagli aspetti pratici.
Dopo aver dispensato con i sogni di scoperta rapida, i Crusoe di tutto il mondo cercano riparo e una fonte di acqua dolce; insegnano loro a fare fuoco con la selce; studiano la topografia della loro isola, il suo clima, la sua flora e fauna, per tutto il tempo mantenendo i loro occhi addestrati per le vele all'orizzonte e le impronte sulla sabbia.»
Aleksandr Il’ic Rostov, decorato con l’Ordine di Sant’Andrea, conte, membro del Jockey Club, maestro di caccia, è scortato sino alla suite 317 del Grand Hotel Metropol passando per i cancelli del Cremlino. È il 1922 ed è condannato, il conte. Condannato dal Comitato d’Emergenza del Commissariato del Popolo, agli arresti domiciliari per essersi “arreso alla corruzione della classe sociale” di appartenenza. Non vi è possibilità d’appello, al contempo, se mai dovesse uscire da quelle mura sarà fucilato all’istante. Un metro e novanta, baffi incerati, portamento fiero, un uomo colto, anfitrione, decide di governare le circostanze ma senza arrendersi a questo colpo basso della fortuna a lui ritorta. E da ogni situazione può sempre essere tratto un beneficio, d’altra parte il Metropol è un luogo sfarzoso, inaugurato nel 1905, intriso di art déco, pieno di ristoranti e luoghi lussuosi. Ma può un uomo come Rostov abituato a viaggiare per il mondo e muoversi “accontentarsi” di “quattro mura”? Le sue giornate scorrono tra lettura, riflessioni e cene, sa che non è da gentiluomini avere un lavoro ma comunque ciò gli pesa. Mai lo avrebbe pensato. Quando incontrerà la ragazzina che ama il giallo, Nina Kulinova, che vive al Metropol, scoprirà che è possibile espandere le mura del luogo verso l’esterno. Si farà carico dell’uomo la giovane, lo educherà al mondo dell’albergo e dei personaggi che lo popolano.
«A volte, tutti dicono qualcosa perché sono tutti» mise in chiaro Nina. «Ma perché si dovrebbe prestare ascolto a tutti? Sono stati tutti a scrivere l'Odissea? Sono stati tutti a scrivere l'Eneide?» Scosse il capo, per poi concludere, in modo definitivo: «Non riesco a vedere alcuna differenza tra tutti e nessuno.»
Ci sono autori che quando scoperti difficilmente si fanno e lasciano dimenticare. Ed è quel che succede con Towles, romanziere amante del Novecento, che tra queste pagine ci conduce a Mosca con un personaggio colto e intelligente, un camaleonte che sa condurre le scene e che tra queste pagine vive prendendo in mano le proprie redini e il proprio destino senza abbattersi anche se abbattersi potrebbe essere la cosa più logica e semplice da fare.
E mentre l’uomo è chiuso in queste stanze, fuori prende sempre più campo Stalin con la sua politica. I rapporti con i paesi occidentali vengono sempre maggiormente meno, la nuova realtà imposta chiusa, dura e restrittiva prende sempre più forza. La sua vita di “uomo più fortunato del mondo” si costruisce attorno ai personaggi che qui incontra, prima Sofia, madre di Nina, poi Emile, capo chef del ristorante Boyasrky, Andrey, maître del ristorante, Marina, sarta che quasi diventerà una figura materna per Rostov, Vasily, il portiere, Anna, Osip, Mishka e tanti tanti altri ancora perché il gruppo diventa come una vera e propria famiglia. Tanti volti, tanti personaggi, tante voci. Voci che costruiscono una storia ricca di emozioni e dove quel che viene maggiormente insegnato è il come reagire alle situazioni e circostanze del nostro vivere. Perché è con la forza della mente che possiamo vivere e sopravvivere a quella che è la gabbia fisica in cui ci troviamo.
Rostov riesce perfettamente in questo. Potrebbe abbattersi, lasciarsi andare, lasciarsi prendere dallo sconforto e invece reagisce cercando di trovare un lato positivo a quella “gabbia dorata” in cui si trova. Se prima il Conte doveva gestire beni materiali e patrimoni, adesso deve gestire se stesso in quello che lo spazio ristretto di una camera d’albergo ritrovandosi senza nulla, ritrovandosi ad essere un “nessuno” per la società circostante.
Nina, bambina di nove anni, avrà il merito di trascinarlo in quelli che sono i retroscena dell’albergo. Ed ecco che con la sua forza prorompente la prospettiva di Rostov cambia ancora. Perché è la prospettiva con cui Nina stessa lo guarda ad essere diversa. Per lei il Conte non è un aristocratico pre-rivoluzione bolscevica quanto un uomo che è fatto di debolezze che deve vincere, che non è capace di affrontare argomenti e certe situazioni, che si dimostra fragile in primo luogo proprio verso questo passato.
Così come Nina lo guarderà con occhi nuovi, sarà il Conte ad osservare il mondo esterno con occhi diversi e nuovi, con una maggiore sensibilità. Al tutto si somma uno stile narrativo preciso, minuzioso, erudito e una prosa ricercata che accompagna e conduce nel perfetto ritmo narrativo che gli è proprio. La dimensione spazio-temporale si dilata anche se le vicende si svolgono nello stesso luogo, questo è un altro dei grandi meriti del romanziere.
“Un gentiluomo a Mosca” è un libro stratificato, fatto di tanti elementi, composto da tanti tasselli, intriso di messaggi e una morale solida su cui riflettere. È un componimento che ben sa coniugare la commedia, l’ironia, la riflessione, la politica, l’edonismo con forza e dovizia. Al tutto si aggiungono personaggi eterogenei e tutti ben delineati da uno stile narrativo limpido, cristallino, magnetico e che incanta.
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