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Una poltrona di prima fila sulla corte di Enrico V
In Inghilterra, negli anni tra il 1530 – data della caduta in disgrazia del cardinale Thomas Wolsey, arcivescovo di York e Lord Cancelliere della corona – e il 1535 – anno in cui fu giustiziato Tommaso Moro – si produssero una serie di sconvolgenti eventi i cui effetti si sono protratti sino a oggi.
Questo corposissimo romanzo ce ne dà un resoconto dettagliato, avendo come testimone privilegiato sir Thomas Cromwell.
Thomas, era figlio di un birraio e maniscalco nel borgo londinese di Putney. Il padre, alcolizzato, fu tanto violento con lui (non mancava di picchiarlo con inaudita violenza) che, per salvarsi, dovette fuggire in Europa neppure quindicenne. Qui fece mille mestieri, tra cui il soldato di ventura, il commerciante di lana e l’uomo d’affari alle dipendenze di potenti banchieri italiani. Rientrato in Inghilterra, divenne uomo di fiducia e servitore fedele di Wolsey, che lo addestrò nelle sottili arti della diplomazia di Stato. Cromwell lo ricambiò difendendolo e prendendone le parti sino alla sua morte, pure quando il cardinale, non essendo riuscito a ottenere dal Papa l’annullamento del matrimonio con Caterina d’Aragona, da seconda carica dello Stato cadde in disgrazia presso Enrico VIII che ne ordinò pure la carcerazione alla Torre.
Cromwell, però, non fu trascinato in basso assieme al suo mentore. Riuscì, anzi, a insinuarsi nella cerchia degli uomini più vicini al re. Per anni seppe destreggiarsi tra gli odi e le rivalità di corte, mettendo le sue indubbie doti al servizio del re per il quale divenne sostegno prezioso e insostituibile. In particolare riuscì nell’impresa che era sfuggita a Wolsey: fu uno dei principali legislatori che disciplinarono lo scisma che originò la Chiesa d’Inghilterra e che consentì l’annullamento del matrimonio con Caterina e l’incoronazione di Anna Bolena. In seguito assurse alle più alte cariche di Stato. Amministrò saviamente le risorse economiche della corona e patrocinò le ragioni della corona davanti alle Assemblee legislative e nei tribunali. Diede avvio allo smantellamento dei ricchi monasteri requisendone i grandi beni. Fu nominato Segretario di Stato e, suo malgrado, fu tra coloro che contribuirono al repulisti degli avversari di Enrico tra la corte e il clero. Azione che, alla fine, portò alla condanna per alto tradimento di Tommaso Moro.
Il romanzo ripercorre con minuziosa meticolosità quel quinquennio non limitandosi a narrare i fatti dalla prospettiva di Cromwell, ma insinuandosi nei palazzi e facendo assistere – da quel privilegiato punto di vista – agli avvenimenti cruciali. Il lettore, perciò vien fatto partecipe della vita quotidiana dei personaggi, in ogni più minuto particolare, quasi si trovasse, anche lui, a vivere le stesse vicende, fianco a fianco con gli attori di quel dramma e potesse prender nota di tutto ciò che lo circonda, dai gesti agli arredi, dalle espressioni facciali ai mugugni dei protagonisti, dai profumi ai suoni di sottofondo, con nitida precisione.
Invero la cosa che più colpisce di questa narrazione – oltre alla stupefacente erudizione dell’A. e alla sua abilità di ricreare le scene a tutto tondo quasi fossero sue reminiscenze personali – è proprio lo stile particolarissimo usato per riportare i fatti. Non si contenta di fare un mero resoconto nelle vesti di osservatrice esterna, ma cala il lettore nel continuo flusso e riflusso di ricordi, sensazioni, immagini, pensieri e sentimenti che scorrono nella mente di Cromwell e degli altri personaggi di rilievo, con inevitabili rievocazioni del passato o anticipazioni di speranze e aspirazioni future. In questa continua corrente di reminiscenze e pensieri, estratti a caso nel limbo nebuloso della loro mente, non è raro sentirsi persi e confusi come in un gorgo. Peraltro ho trovato mirabili, da questo punto di vista, le pagine in cui si rievocano i deliri di Cromwell caduto ammalato e preda di allucinazioni causate dalla febbre alta. Ma anche le ansie che lo scuotono quando cerca di trovare la soluzione per soddisfare le mire del suo signore (sia esso Wolsey che Enrico) e il fluire delle congetture che queste implicano e che gli fanno rivivere episodi passati della sua vita.
L’immedesimazione che si ottiene è totale, al punto che è naturale sentirsi calati fisicamente in quella turbolenta Inghilterra anzi, proprio nel corpo di Cromwell e vedere, con gli occhi della mente, prender vita quei volti come ce li ha tramandati Hans Holbein nei suoi dipinti. Il coinvolgimento è tale che in alcune occasioni, non credo per un mero lapsus calami, il resoconto scivola via dall’impersonale costruzione della frase e passa a coniugare i verbi in prima persona plurale come se l’A. (ma anche il lettore) non osservassero da fuori, ma fossero anch’essi parte della azione narrata.
Purtroppo, però, l’opera è davvero monumentale (oltre 750 pagine) e, alla fine, si rimane sfiancati, sopraffatti dall’enorme quantità di cose narrate. L’attenzione tende a venir meno e si desidera solo giungere alla conclusione della storia che, per chi ha anche solo una superficiale conoscenza dei fatti, non è certo imprevista. Tenendo presente che “Wolf Hall” è solo il primo tomo di una trilogia dedicata al regno di Enrico VIII, vien da pensare che chi volesse affrontare l’intera lettura dovrebbe armarsi di una considerevole forza di volontà. Detto questo devo riconoscere l’indubbia abilità dell’A. e il valore del libro che riesce rendere avvincente e coinvolgente la storia, come e più di una rappresentazione scenica.