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Gli anni gloriosi del Secondo dopoguerra #vol1
Pierre LeMaitre torna in libreria con un romanzo storico, formula già riutilizzata in passato ma che questa volta si coniuga anche in modo stringente nella modalità avventura. Siamo nel 1948 con “Il gran mondo” e la narrazione si sviluppa e concentra prendendo in esame molteplici prospettive geografiche di narrazione. Siamo tra Beirut, Saigon e Parigi e ad essere oggetto della vicenda è la famiglia Pelletier che ha raggiunto il successo negli anni Venti per merito di un saponificio di successo che poi è riuscito ad andare oltre confine raggiungendo anche l’estero. Già da questa impostazione geograficamente dislocata la mente del lettore si proietta e orienta su titoli già rivisti, quale anche la formula spesso adottata nelle opere di Ken Follett. Il capofamiglia della storia è Louis, un uomo che ha fatto fortuna grazie alle proprie capacità imprenditoriali e che nel concreto rappresenta la sua posizione di leader più formalmente che sostanzialmente. Pelletier è sinonimo di garanzia agli occhi della gente e lo stesso capostipite non manca di ostentare quella che è la propria ricchezza stante che nulla, nemmeno la Seconda guerra mondiale, è riuscita ad intaccarne le finanze e ricchezze.
Ma Louis e Angèle, la moglie, hanno quattro figli. A preoccuparli sono maggiormente le loro sorti essendo ciascuno di questi personalità eclettiche e con prospettive, sogni e desideri non sempre in combinato disposto con il tempo e l’epoca.
Jean è il primogenito che un giorno erediterà l’azienda di famiglia. Già qui la prima crepa perché il giovane non rappresenta l’emblema del leader, anzi. Sin dal punto di vista familiare con la moglie Geneviève che da quello finanziario/imprenditoriale si dimostra debole, fragile, indeciso. Con la moglie non riesce a farsi valere e a imporre esattamente come nell’attività. È dunque Louis a dover intervenire per colmare quelli che sono i fallimenti e le mancanze del primogenito.
François sogna di lavorare in un giornale e pur di riuscirci si trasferisce a Parigi dove inventa e millanta di voler proseguire gli studi presso la Sorbona. Il figlio è dunque mantenuto dai genitori che vanno fieri di lui e dei suoi intenti quando egli in realtà mente perché abituato a stare nelle retrovie e ad essere schiacciato dai fratelli, non riesce a manifestare la volontà che realmente lo muove.
Etienne è invece innamorato del suo Raymond, il bel soldano che si è arruolato nella legione straniera, ora in guerra in quel di Saigon. Lo incontriamo all’inizio del romanzo in partenza per ritrovare proprio il suo militare del cuore. La famiglia è consapevole di questi sentimenti e non lo ostacola anche se chiaramente si preoccupa, a maggior ragione dopo un mese di sue mancate notizie. Che sia perito? Che sia successo qualcosa di grave? Etienne e il suo gatto staranno bene in quel di Saigon?
Infine l’ultimogenita, Hélène. Irrequieta, insicura, incostante, inconsapevole e decisa per quel che riguarda il suo futuro. Cosa fare? È bella e conscia di esserlo, Hélène. Seguire il fratello a Parigi? Oppure, se non seguirlo, quale altra strada intraprendere per sfuggire alle sorti della famiglia e soprattutto al controllo dei genitori?
Denominatore comune che conduce e accomuna ognuno dei personaggi è la voglia di ricominciare, di abbracciare un nuovo inizio. Talvolta anche abbracciando scelte deprecabili in quello che è uno sfondo storico che viene delineato per la sua semplice verità, senza fronzoli o benefici del dubbio.
È un romanzo molto duro quello di LeMaitre dal punto di vista dei sentimenti e delle indoli. A far da padrone è l’individualismo e l’egoismo, non vi è pace e spazio per la bontà, per l’amore. I personaggi sono forti delle loro individualità e sono disposti a tutto pur di cavarsela e raggiungere i propri traguardi/obiettivi. Sono disposti anche a scaricare le responsabilità pur di averla vinta e/o farla franca. Agire per amore è sinonimo di punizione. Abbracciare una morale non è qualcosa di consentito e/o concepibile. L’autore non lascia spazio a quella che è la possibilità di salvezza, redenzione. Se la famiglia è oggetto e luogo di segreti non professabili, la giustizia è schiacciata dagli intrighi politici ma anche economici e al contempo non vi è spazio per il sentimento inteso e coniugato nella sua purezza e totalità. Ciascuno dei Pelletier sembra avere un dono particolare per l’invischiarsi in questioni più grandi del proprio potere.
È un romanzo che divide. Ci si aspetta un maggior focus storico che francamente non è prevalente e tende a essere manchevole perché schiacciato dal carattere dell’avventura che talvolta è fin troppo eccessivo, dall’altro i personaggi incuriosiscono ma faticano a farsi amare, a suscitare empatia. Tendono ad allontanare e talvolta le loro scelte sono schiaffi per il lettore che ne comprende i meccanismi seppur senza condividerli.
Lo stile tende a perdersi in digressioni e prolissità che potevano essere maggiormente sintetizzati con un più approfondito lavoro di editing. Si tratta del primo capitolo di una trilogia dedicata agli “anni gloriosi” del Secondo dopoguerra ma, almeno in questo episodio capofila, gli intenti sono maggiori dei risultati e l’opera, seppur si faccia leggere, non riesce a conquistare nella sua totalità. La speranza è che il tiro venga aggiustato nei successivi due capitoli, altrimenti il rischio è quello di incorrere in una trilogia con un mordente spuntato e questo sarebbe un peccato perché i presupposti e l’idea ci sarebbero tutti per la realizzazione di una serie degna di nota.
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