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Solo nei libri troveremo la nostra salvezza!
Zeno Ninis è un ottantaseienne di Lakeport, un paesino perso nelle tundre gelate dell’Idaho. La vita non è stata generosa con lui: orfano di madre sin da piccolissimo, perse il padre, ucciso a Guadalcanal, quando aveva solo nove anni. Appena maggiorenne rimase prigioniero in Nord Corea per lunghissimi mesi. Poi la vita gli ha concesso poche gioie; solo la lettura dei classici greci lo ha salvato. Ora il suo sogno, l’unico che gli è rimasto e che davvero conti per lui, al termine della sua lunga vita, sarebbe mettere in scena una rappresentazione teatrale con i bimbi del paese: una commedia ispirata al romanzo “Nubicuculìa” di Antonio Diogene; un testo ampiamente frammentario in greco antico, ritrovato nel 2019 in una biblioteca di Urbino e da lui faticosamente tradotto. Qui si narra di una città meravigliosa tra le nubi e delle incredibili avventure che il pastore Ètone affrontò per raggiungerla, in forma di cornacchia.
Seymour vive nello stesso paesino. Da sempre è afflitto da una iperacusia, da una generale ipersensibilità e, forse, da una qualche forma di autismo. Quando la speculazione edilizia farà abbattere la foresta sul retro della casetta in cui vive, dove lui trovava serenità anche per la presenza di un grande gufo grigio che lui chiamava Amicovero, si trasformerà in una versione sociopatica di Greta Thunberg. Maturerà la decisione di un gesto estremo di ecoterrorismo.
Anna è un’orfanella tredicenne del XV secolo. Vive a Costantinopoli poco prima che la città sia travolta dalle armate del sultano Maometto II. Anche lei, in un mondo che la condanna a essere solo una ricamatrice senza istruzione, ha trovato gioia nella lettura di Omero. Durante l’assedio sarà un piccolo vecchio codice muffito, contenente lo strano, favoloso romanzo di Antonio Diogene a tenere su il morale suo e della sorella maggiore, Maria, ormai morente.
Lì vicino, ma dalla parte integrata nell’impero mussulmano, c’è Omeir, suo coetaneo; nato con un labbro leporino che gli deforma il volto, è dotato di una sensibilità particolare e, anche lui, ama i miti.
Infine c’è Konstance. Ha quattordici anni. È nata nei primi anni del XXII secolo su Argos, una astronave generazionale, diretta in un viaggio di oltre 500 anni verso il pianeta Beta Oph2 ove suoi occupanti (per la maggior parte nati sulla nave) sperano di trovare una speranza di futuro per i loro eredi, giacché la Terra è divenuta ormai inabitabile. Anche Konstance ama leggere; anche lei, dopo che una catastrofe sembra abbia distrutto ogni residua speranza a bordo, cercherà rifugio nel mito di Nubicuculìa, la città tra le nubi e, faticosamente, cercherà di ricostruirne il testo, ormai perduto.
Konstance, Zeno, Anna, Seymour, Omeir. Non possono esistere personaggi più diversi tra loro. Tutti vivono le loro vite, spesso dolenti, non di rado tragiche, in luoghi lontanissimi, nel tempo e nello spazio, gli uni dagli altri. Hanno culture diverse e diversa mentalità. Tuttavia sono legati inscindibilmente da un unico destino, da un unico filo conduttore, che li farà protagonisti di una storia in bilico tra la realtà storica, la favola immaginifica, la parabola evocativa e pedagogica, il romanzo di fantascienza e il sogno a occhi aperti. Tutta la costruzione è tenuta assieme dall’amore per i miti, per i libri e per la lettura in generale.
Le tre storie, i tre filoni narrativi che si intrecciano e accavallano tra loro trovano la loro unitarietà nella conclusione, una sorta di “agnitio” sorprendente e contemporaneamente malinconica pur nella sua catarsi con intenti consolatori. Tutte le vicende sono intrinsecamente meste, resoconti di amare e definitive sconfitte, addolcite unicamente dalle immagini che la fantasia dona ai protagonisti e da una nebulosa promessa finale di una vita se non proprio felice, quantomeno quieta e appagata dal poco che essa concede.
L’ipotetico romanzo del II secolo d.C. di Antonio Diogene (romanzo inventato, ma autore realmente esistito), oltre che elemento unificante è anche sintesi morale di tutte le tre vicende. Anche per tale motivo, l'antico codice, che magicamente sembra avere il potere di donare serenità e speranza a chi lo legge, è, esso stesso un’avventura esaltante, ma nell’essenza triste e malinconica con il suo ammonimento conclusivo. La città di Nubicuculìa (nome, rubato alla commedia di Aristofane “Gli uccelli”) è l’emblema di tutti gli ideali umani, apparentemente splendidi e appaganti e, per ciò, strenuamente bramati; ma, puntualmente, una volta raggiunti, si rivelano solo fonte di insoddisfazione, delusione e ulteriori, diverse brame.
Il vero messaggio, forte e potente, che ci viene dal libro e ne è la vera sostanza è un altro: solo quando siamo immersi nella lettura possiamo ritenerci liberi dalla realtà quotidiana con tutti i suoi orrori, le sue crudeltà, le sue delusioni, perché i libri sono “una macchina per catturare l’attenzione, per schivare la trappola”, come, a un certo punto, dirà Zeno. E, foss’anche per questo solo insegnamento, il contenuto del romanzo varrebbe non 5 ma sei, sette stelline.
In conclusione un ottimo libro, per certi versi commovente per altri consolatorio, pur nella sua mestizia di fondo. Non tutti i tre filoni sono ugualmente meritevoli di lode. Buona la ricostruzione della Costantinopoli del XV secolo; la vicenda contemporanea è forse un po’ iperbolica in certi passaggi, ma ben costruita. La storia fantascientifica è forse la più appassionante, perché imprevedibile, ma anche quella che più soffre dei numerosi prestiti dalla letteratura e cinematografia di genere (penso, in particolare, a 2001, Capricorn One e, da ultimo, Passengers). Confesso di aver provato un po’ di fastidio quando il comportamento di Sybil (il computer onnisciente dell’Argos) assume atteggiamenti che assomigliano troppo a quelli di HAL-9000, quasi a rasentare il plagio. Complessivamente, comunque, le vicende si integrano e completano e assieme regalano pure quella piccola dose di suspense che rende più appassionante la lettura.
Non ho apprezzato moltissimo lo stile con cui è stata impostata la narrazione: tutto il racconto è giocato su proposizioni all’indicativo presente. Comprensibili le motivazioni: rendere le azioni tutte come presenti, indipendentemente dall’epoca (passata, presente, futura) in cui si sarebbero svolte. Tuttavia, in tal modo si perde la profondità temporale; tutto appare bidimensionale, come una serie di diapositive, piatte, senza prospettiva. Proprio per questa ragione all’inizio ho fatto un po’ fatica a procedere nella lettura, poi, però, attratto dalle vicende, non ci ho più badato.
Probabilmente, a una analisi pignola, la trama non sempre rispetta una coerenza interna logica, temporale e narrativa, però si tratta sicuramente di un libro valido e da leggere con piacere.
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Commenti
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In effetti, all'inizio, le frasi tutte al presente disturbano un po' (ti confesso che avevo cominciato a cercare disperatamente almeno un imperfetto! :-) ), però, dopo un po' ti adatti al ritmo e, nel complesso, è un libro niente affatto male. Ti fa quasi (ma proprio quasi) venir voglia di riprendere in mano pure l'Odissea, magari non in greco come la cita Doerr, ma...
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