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"Viviamo tutti in un cimitero, ma alcuni di noi so
“Viviamo tutti in un cimitero, ma alcuni di noi sono ancora vivi.”
“La figlia ideale”, romanzo della scrittrice spagnola da poco scomparsa Almudena Grandes, ci porta nella Spagna franchista degli anni Cinquanta del Novecento.
I due protagonisti della vicenda e voci narranti principali che si alternano sono German Velazquez e Maria Castejon.
German è uno psichiatra affermato, che torna in Spagna nel 1954 dopo aver trascorso un ventennio in Svizzera, dove si era rifugiato in seguito alla guerra civile. Maria è una ragazza di circa vent’anni, orfana, che lavora duramente per mantenersi e ha il dono speciale di sapersi raccontare. I due si incontrano nel manicomio femminile di Ciempozuelos e intrecciano la loro relazione intorno alla figura di Aurora Rodriguez Carballeira - terza voce narrante del romanzo- una donna affetta da grave paranoia che, circa vent’anni prima, aveva ucciso la propria figlia. Entrambi, sia German che Maria, sono legati a donna Aurora per motivazioni diverse che risalgono alle loro rispettive storie familiari.
Si tratta di un romanzo molto ricco, corposo, denso di narrazioni personali che, partendo dal manicomio di Ciempozuelos vanno a raggiungere e toccare tantissimi argomenti e tematiche, come la guerra civile spagnola, il genocidio degli ebrei, la condizione degli esuli e dei rifugiati di guerra, la vita sotto una dittatura, la discriminazione degli omosessuali, la condizione delle donne.
La scrittura di Almudena Grandes è coinvolgente, capace di catturare il lettore e farlo entrare nella vicenda narrata.
Ciò che all’inizio non mi aveva molto convinta era stata la sovrabbondanza dei temi affrontati, che venivano sviscerati uno dopo l’altro a partire dalle complesse vicissitudini personali dei protagonisti. Ho un po’ faticato insomma a riportare tutte le questioni aperte ad una sorta di unità e coerenza di fondo che alla fine noi lettori ci aspettiamo da una narrazione. Infine penso di aver capito che il tema basilare su cui è costruito questo romanzo così denso e stratificato sia stata la necessità di elaborare il passato spagnolo, quel passato figlio della guerra civile e di una dittatura pluriennale che non poteva essere forzatamente ricondotto ad una unità ma che doveva essere raccontato come pluralità e complessità.
“ «Fai bene» mi disse, senza modificare la curva raggiante delle sue labbra. «Sarà più facile lassù. La Spagna non è un paese per gente come lei.»
Avrei potuto piantarlo in asso. Avrei potuto girarmi a destra e andare a prendere un calice di vino. Avrei potuto spostarmi a sinistra per salutare il dottor Robles. Avrei potuto fingere di non aver sentito le sue parole. Avrei potuto, ma non lo feci.
« La Spagna è il mio paese, padre Armenteros.» Sorrisi a mia volta, invece. « Anche se la cosa la manda in bestia. So che avrebbe preferito che i suoi amici annientassero tutti gli spagnoli come me, ma non ci sono riusciti, e non perché non ci abbiano provato, tra l’altro. Per cui la Spagna è tanto mia quanto sua, le piaccia o no. Lei non è più spagnolo di me. E non ha nessun diritto di stabilire se mi conviene o no restare. Sarò io a deciderlo, se non le spiace.» ”
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